Con Ghost Dance I Mantra rivendicano il senso di appartenenza ad una Napoli dai molteplici contrasti – un mondo locale ma internazionale allo stesso tempo (il disco e’ cantato in inglese), una citta’ simbolo dell'Italia intera, da una parte sovente malsana, e all’apparenza decadente, ma al contempo generosa di paesaggi mozzafiato e grandi intuizioni architettoniche ed intellettuali, aperta verso il mare ma succube del grande Vulcano, simbolo del fato.
Ghost Dance, si configura come galleria di personaggi che in parte sottolineano questo rapporto con la citta’ di Napoli – il Vesuvio, il lupo, l’esercito malinconico che si e’ perso inseguendo le stelle, l’ Arlecchino disperato, Manao Tupapau di Gauguin, fantasmi danzanti su uno sfondo chiaroscuro, fra luce ed ombra, quell’atmosfera che si incontra presto il mattino quando il sogno si scioglie nella nitidezza del reale, ma anche personaggi in una processione dedicata ad un santo immaginario.
Il disco apre con Heads or Tails, un brano che si muove in 5/4 (il movimento della tarantella napoletana) nel quale è lo stesso Vesuvio a parlare, continua poi sulle note di Death Baby Chicco, che vede al centro una una regina solitaria dello spazio, poi The Wolf, che vede il lupo (simbolo dei Mantra) parlare con la luna, poi The Blue Army (l’esercito malinconico che si e’ perso contando le stelle), poi Arlecchino ed infine il Manao Tupapau di Gauguin, che ci terrorizza ed affascina al limite fra realta’ e sogno.
Questi caratteri raccontano le proprie gioie, i drammi, l'inadeguatezza, il senso di vuoto in maniera talvota ironica e teatrale, talvolta struggente pero’ sempre sognante.
Anche musicalmente, Ghost Dance danza fra stili diversi – come struttura a “finestre” strizza l’occhio alle radici progressive e post-rock della band napoletana, ma abbraccia elementi di shoe-gaze, elettronica e beats (come in Slow Motion)