Manuel e Xabier hanno saputo tessere l'ordito che ha raccolto sull'alchemico palco teatrale la rappresentazione della loro ispirazione musicale, che si compone sia di attualità che della forza della fantasia, che sperimenta avanguardie di suono e allo stesso tempo interpreta i pezzi classici del piano solo.
Lo spettacolo è iniziato con una lettura di un brano da "Il meraviglioso tubetto" di Manuel Agnelli (Mondadori, 2000, ora disponibile sul web). Capitolo 12 “Anche se no ho le ali non significa che non ti ami”: un racconto crudo, sviluppato su una “telecamera a spalla”, di una sparatoria in metropolitana.
“Un cadavere e una donna finita. Chi è più morto fra noi due? Per un attimo l'hai creduto davvero che io potessi essere il tuo angelo custode. Poi hai pensato che gli angeli custodi non possono morire e la tua razionalità l'ha avuta vinta sulla realtà”.
La lettura feroce di Agnelli, enfatizzata dal “pestaggio” di un boccione di plastica, quelli dei distributori che si trovano negli uffici, con un grimaldello, ha aperto le porte su uno spettacolo in cui il pubblico sarebbe stato proiettato sugli spigoli vivi della realtà, che non trova requiem nella “razionalità degli angeli”.
Il primo pezzo non poteva che essere altrettanto livido: Simbiosi (da Hai Paura del buio?, Mescal, 1997), arrivato dopo una lunga introduzione delle due chitarre di Manuel e Xabier.
Segue la lettura di un brano sulla morte della scorta di Paolo Borsellino, sulla sua Agenda Rossa. Uno sguardo fortemente soggettivo, che dilata i tempi e le vicende lanciando in loop le scene terribili a cui i sopravvissuti hanno dovuto assistere. La “tua razionalità”, quella dei familiari delle vittime, che hanno dovuto scendere a patti con il loro lutto, si apre alle orecchie del pubblico con toni cupi e dolenti.
Giunge così il momento della favola, la favola di Piano Bill e il mistero degli spaventapasseri, (nella raccolta Novelle fatte a macchina, Gianni Rodari, edizioni Einaudi), un thriller ironico sulle note di Beethoven, ma non di Shubert, che ci fa capire che il vero uomo non si batte a duello con le armi, ma con le note.
L’estratto di Afterhours (Manuel e Xabier) ha eseguito in piena libertà d’assolo su chitarre e Mahai Metaki (lo strumento inventato da Xabier) altri brani dal repertorio della band: Pelle, Male di miele, Ci sono molti modi, Ballata per la mia piccola iena, Quello che non c'è, È solo febbre.
Altre letture di Steinbeck, da Furore, e di alcune poesie di cui Manuel non ha voluto svelarci titolo e autore.
I due musicisti si sono concessi un momento di assolo. Xabier ha creato una bolla di suono magnetica sullo Mahai Metaki: riverberando il rumore dell’acqua, lo scorrere di biglie, spazzolando le corde con un pennello e manipolando i suoni emessi.
Manuel, in apparente contrasto, ha eseguito al piano il Notturno op. n. 9 di Chopin, con un certo taglio swing.
Il pubblico non poteva certamente accontentarsi e ha richiamato gli artisti per altri due bis: Voglio una pelle splendida e Padania.
Il teatro sabato era gremito del pubblico indie-alternativo che di solito (ma quanto “di solito” in realtà?) si è abituati a vedere attaccato a una transenna sotto-palco. Un bellissimo spettacolo di tagli anni ‘80, tatuaggi, black-dressed and so on che spuntava dai palchetti e faceva capolino dalla platea.
Spettacolo bellissimo, ma... cosa ne pensate dei concerti rock a teatro?
Per quanto mi riguarda, non sono contraria a priori. Ne ho visti alcuni, tra cui proprio il tour nei teatri degli Afterhous nel 2009-2010, ma ho sempre vissuto come una costrizione la poltrona della platea o del palco. I live degli artisti che amo mi hanno sempre trasmesso l'adrenalina sonora che a sua volta causa vari livelli di movimento: dal dondolio ipnotico al pogo urlato, al ballo saltellato...
Non posso negare di non apprezzare l'acustica particolarmente curata di un concerto in teatro, ma quando suonano le band che amo non riesco mai a concentrarmi solamente sull'aspetto tecnico-acustico.
Cosa non torna allora nella band che suona a teatro?
Credo che regista, attori, costumisti, musicisti e tutti coloro che lavorano allo spettacolo realizzino sul palcoscenico una vera e propria alchimia, facendo confluire elementi e forze naturalmente distanti e talvolta incompatibili tra loro. Quando si apre il sipario si riversa sul pubblico l'aria di un mondo altro, che si propone perfetto e vitale nella sua finzione ed il pubblico ci finisce dentro seduto sulla sua poltrona, ma con la testa nel Giardino dei ciliegi (per esempio).
Il concerto-rock-a-teatro concepito come semplice traslazione sul palcoscenico di quello che avviene nei festival, o nei locali, o nei palazzetti, non ha niente a che fare con il teatro.
Questo può essere gradito (un segno di rottura, un'avanguardia, la creazione di un nuovo ibrido) o meno. A me non è gradito.
Xabier e Agnelli hanno saputo mettere in scena un vero spettacolo, assente forse l’immagine “vista” (non vi erano proiezioni di video), ma molto viva certamente l’immagine sonora e mentale.
Silvia Bello
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