Fai musica da quando eri adolescente, sei al terzo album con Il Teatro degli Orrori e hai alle spalle un'esperienza solista. Un primo bilancio di carriera?
Beh, che dire, sono felice! Ho fatto una lunga gavetta ma dal primo momento ho sempre pensato che sarei riuscito a fare esattamente quello che, a 14 anni, avevo deciso di essere: un musicista. Ho fatto molte cose nella mia vita, provato esperienze e lavori diversi, ma lo sguardo era dritto all'obiettivo e proprio quando il dubbio si è impossessato di me, nel 2005, ho deciso di investire su me stesso, sui miei sogni, sulle mie convinzioni. La musica è una porta per accedere al centro di sé, è la lente per leggere la propria anima. È arte, è creatività, è cultura. È vita, siamo noi. Non un risultato finale da raggiungere ma un divenire meraviglioso. E chi siamo, evidentemente, si sente, lo dimostra l’affetto del pubblico e la risposta positiva della critica musicale.
La musica de Il Teatro degli Orrori riassume derivazioni diverse: la componente strumentale guarda alla tradizione americana anni '90, mentre i testi delle canzoni alla migliore storia cantautorale italiana...
Il nostro fare musica è un’arte che comprende e riassume radici diverse, esse non sono in contraddizione tra loro ma sono affluenti che da origini lontane alimentano lo stesso fiume: la cultura. La nostra natura strumentale, ravvisabile soprattutto nei primi due album, ha chiare origini indie americane anni ’90 (le progressioni brutali dei Melvins, le geometrie noise dei Jesus Lizard, le ritmiche scheletriche della Touch & Go degli anni Novanta, il torpore allucinato dei Birthday Party sono stati i nostri fari), mentre l’esperimento operato da Pierpaolo sulla sperimentazione della parola nei testi riporta come riferimento alla tradizione cantautorale italiana, con la volontà di continuare in questa direzione innovandola. Sua l'idea particolare di aggiungere il recitato e le continue citazioni letterarie, poetiche e filosofiche che costituiscono il suo grande bagaglio culturale. Un bagaglio in continua crescita che ama trasferire e condividere con tutti attraverso la musica e, insieme, una scelta di campo: quella di una comunicazione chiara e diretta, che arrivi precisa a chi la riceve. È più facile e più libero usare l’idioma materno perché dà la possibilità di assestare schiaffi sonori, carezze languide o giocare con sottintesi senza rimanere troppo oscuri. Un bell’esempio del ponte riuscito tra le nostre due radici è Doris (contenuta nell’ultimo Il Mondo Nuovo), dove si respira la una musica americana di protesta che trasloca in lingua italiana pur restando fedele alle sue suggestioni. È stata ed è ancora un’esperienza affascinante lavorare coi Teatro, proprio per questa capacità continua di innovare, superare i riferimenti diretti ed indiretti, trasformarsi per non fermarsi mai. Osare e divertirsi, muoversi sempre è “vita”, mantiene giovani. Fermarsi è annoiarsi ed avvilirsi. Ci si ammalerebbe di noia e vecchiaia.
Com'è stata l'esperienza da solista e come ha innovato ed arricchito quella coi Teatro?
La mia parentesi da solista è stata divertente e molto utile, mi ha dato nuove prospettive ed energie da sfruttare anche all’interno dei Teatro. Tornare alla mia 12 corde in abbinato con -ad esempio- l’ukulele è stata un’esperienza invasiva e bellissima che è parte integrante di me, di quello che sono e che ho portato nel nuovo disco dei Teatro. Ciò ha dato la possibilità di creare una canzone come “Cuore d’Oceano” che è un mix di attitudini, prospettive e suggestioni molto diverse, che ha coinvolto musicisti provenienti da scene spesso lontane e falsamente incompatibili come Caparezza. Non so dire se continuerà o meno, prenderò ciò che mi offre la vita, senza togliermi il gusto della sorpresa.
Vita normale e vita da rockstar. Quale la tecnica di sopravvivenza?
L'unica tecnica di sopravvivenza efficace e sperimentata per me è il tour: girare mille posti diversi ogni giorno, vivere in viaggio, dormire pochissimo e reagire alle scariche di adrenalina sul palco stanca sicuramente molto, ma interrompe lo scorrere fisiologico del tempo all'interno di te. È una lotta intestina che lascia sospesi; da una parte il tempo reale di un tour corrisponde a dieci volte il tempo vitale, dall'altra ricevi così tanta forza ed energia che contrasta qualunque forma di fatica ed invecchiamento. Risultato: zero a zero, con una decisa propensione per il benessere!
Quest'ultimo album è particolarmente impegnato in temi sociali e civili. Come vedi la crisi che sta piegando il mondo?
Questa crisi ci mette tutti spalle al muro. Taglia teste, gambe, fa saltare sistemi, certezze, stili di vita. Opera una selezione naturale che induce a tornare a sé come unica fonte di sopravvivenza. Bisogna ricominciare da sé, far pace con sé, pensare intimamente al proprio bene, al cuore della situazione personale. Quale sarà il trucco? Probabilmente spogliarsi di tutto ciò che ci è stato costruito addosso finora e che in realtà non ci rappresenta, abbandonare ogni punto di riferimento conosciuto e sguinzagliare la fantasia a caccia di forme alternative di esistenza. Più semplici, più naturali, di certo più naturali di quelle degli ultimi 40 anni. Un ruolo centrale lo avrà la cultura, da sempre motore sociale. La generazione dei 30-40enni, la famigerata Generazione X o Generazione perduta per dirla alla Monti, è chiamata a costruire una nuova società. Io ne sento la responsabilità e la fattibilità in prima persona; ho vissuto come un grande romanzo l'era della guerra dei miei nonni, la loro fede in una democrazia giusta e neonata, e poi le grandi battaglie di rinascita nella speranza del comunismo reale dei miei genitori. Le ho vissute di “seconda mano”, ma le ho vissute. Mi chiedo cosa ne sappia mia sorella che a 15 anni non ha visto nulla di tutto ciò che è stato prima, che è troppo distante da questi discorsi e che, quando è nata, ha incontrato un Berlusconi già stanco di essere al mondo. Non loro, quindi, ma noi dobbiamo essere gli interpreti e i protagonisti del cambiamento, del nuovo mondo che ci aspetta. Non possiamo finire qui, dobbiamo reinventarci. La rivoluzione non si fa scendendo in piazza coi forconi, bisogna abbandonare i vecchi metodi, bisogna cambiare modo di vivere.
I grandi artisti dicono che c'è un momento nel quale avviene l'illuminazione. Fino ad un attimo prima non ci si riconosce artisti, poi all'improvviso avviene l'autoincoronazione e si inizia a prendersi e fare sul serio. È successo anche a te?
Quando avevo 21 anni ho fatto un incontro che ora ricordo come determinante. Un produttore musicale che ha creduto in me, arrivato ad avere uno studio prima ed un nome importante poi, mi ha raccontato di come all'inizio della sua carriera si era messo come termine per la realizzazione l'età dei 30 anni. Se non fosse arrivato entro a quell'età a realizzare ciò che sognava, avrebbe cambiato strada. Questa cosa mi ha talmente colpito che, già determinato e inossidabilmente convinto di mio, l'ho presa come modello da applicare al mio caso. A 30 suonavo per passione ma non mi pagavo di certo da vivere. Per le bollette di casa dovevo far altro e lavoravo in una assicurazione. Proprio quando il dubbio e l'angoscia sul da farsi mi inchiodavano a terra, ecco che le cose hanno iniziato a girare e la musica è diventata il mio regno, un sogno che si materializzava sostenendomi. Da allora non mi sono più fermato e ci credo ciecamente. Durerà quanto è scritto nella mia vita che duri. Io spero per sempre perché la musica è la mia vita, sono io, e il dialogo con me stesso non si può interrompere. Se la mia vita cambierà, sarò pronto al cambiamento e a cogliere il meglio da esso. Se sono riuscito, in Italia, a diventare musicista allora nulla è impossibile e niente mi potrà fermare.
Francesca Pessotto