Marco Paolini - I miserabili io e Margaret Thatcher - 17/12/09 PN
I miserabili di Marco Paolini hanno ormai più di un secolo ma forse, a differenza di quelli che vivevano nei sobborghi di Londra alla fine del 1800, quelli di adesso sono un po' miserabili per colpa loro. Lo spettacolo di Paolini parte citando Marx ed il suo capitale e passa attraverso tutto il 900, attraversa la povertà della nostra gente fino al suo riscatto sociale ed economico. Gli anni 30 - 40 - 50, la terra, la fabbrica e l'inizio del riscatto sociale. Dalla zappa passando per i martelli fino alla possibilità di diventare imprenditori e benestanti. Poi gli "eroi" di Marco Paolini diventano nuovamente miserabili credendo al miracolo economico del debito facile, alla "deregulation" di Margaret Thatcher. Creduloni e ricchi tornano ad essere nuovamente poveri nella speranza di diventare ancora + ricchi.
Un Paolini graffiante ed ironico arricchito dalle musiche dei mercanti di liquore dialoga a senso unico con la signora Thatcher e ti lascia un senso di impotenza ma alla fine ti strappa un amaro sorriso.
Un Paolini graffiante ed ironico arricchito dalle musiche dei mercanti di liquore dialoga a senso unico con la signora Thatcher e ti lascia un senso di impotenza ma alla fine ti strappa un amaro sorriso.
Deep Purple Live @ Palazzo del Turismo, Jesolo (VE), 11 Dicembre 2009
Deep Purple Live @ Palazzo del Turismo, Jesolo (VE), 11 dicembre 2009
Opening: Maurizio Solieri
I Deep Purple non necessitano di presentazioni: progenitori dell’hard rock, giunti al diciottesimo album, possono vantare, attraverso ben otto cambiamenti di formazione, quella che probabilmente è la carriera più longeva del genere. Tuttavia questo risulta spesso più un difetto che un pregio. Prima di un loro concerto non si può che partire prevenuti: il chitarrista Steve Morse è nella band da quattro album, il tastierista Don Airey da due, e proprio loro due si trovano a dover sostituire i due membri della formazione storica che più di tutti avevano influenzato il suono della band; inoltre il cantante ultrasessantenne Ian Gillan, membro storico della band, un tempo noto per la sua potenza vocale, ha visto le sue doti affievolirsi sempre di più con l’età.
All’ingresso del palazzetto non si può comunque non essere elettrizzati dal poter ammirare dal vivo una band tanto storica come i Deep Purple. Il parterre è pieno e alle gradinate manca davvero poco per registrare il tutto esaurito: il pubblico è variegatissimo, si va dai più antichi affezionati che li hanno potuti ammirare dal vivo negli anni Settanta, fino ai nuovi giovani appassionati e anche non pochi bambini accompagnati dalle famiglie. Nelle gradinate, infatti, è pieno di famiglie al completo, unite ad ammirare quello che si potrebbe considerare un evento generazionale, se non fosse che i Deep Purple fanno un tour un anno sì e l’altro anche e che, come in questo caso, ci siano ben cinque date in Italia.
Apre il concerto la band di Maurizio Solieri, fedele chitarra di Vasco Rossi. Certo è imbarazzante che la sua chitarra sia protagonista assoluta del concerto quando la sua abilità non è poi così grande come si voglia far credere (e alcuni errori si fanno notare), ma il resto della band è formata da musicisti di tutt’altro livello e l’esibizione potrebbe essere stata ritenuta meritevole se non si fosse chiusa con una deludente cover dello stesso Vasco (della cui ombra Solieri sembra impossibilitato a liberarsi) cantata dal tastierista, dotato di una voce tecnicamente perfetta e di timbro altissimo, totalmente diversa da quella di Vasco, e che quindi interpreta “C’è chi dice no” quasi come se fosse un Francesco Renga datosi al power metal.
Passa una mezz’oretta e i Deep Purple si presentano sul palco. Il concerto parte con la storica perla “Highway Star” che, sebbene vagamente rallentata rispetto agli anni d’oro come la maggioranza della canzoni in scaletta, carica tantissimo il pubblico. La scaletta, però, inizialmente smorza l’entusiasmo, essendo composta da diversi pezzi più recenti, a cui il pubblico risponde più freddamente rispetto agli inni rock della prima parte della carriera. Tuttavia, a concerto finito, più della metà delle canzoni suonate sono datate ai primi anni Settanta e l’album capolavoro della band “Machine Head” è stato eseguito quasi totalmente.
I musicisti della band sono tutti in forma e ognuno sa dare prova della propria abilità nell’infinità di assoli dedicati ad ogni singolo strumento nel corso dell’esibizione, aiutati anche dall’acustica praticamente perfetta della location. In particolare Steve Morse, dotato di enormi abilità chitarristiche, fa benissimo il suo lavoro di copiatura dello storico chitarrista Ritchie Blackmore, di cui però non riesce a imitare l’enorme ispirazione, finendo per proporre dei soli altamente tecnici ma in fondo molto sterili. La grande pecca del concerto è, comunque, il cantante Ian Gillan che, come secondo pronostici, non riesce a farsi valere vocalmente sin dai primi pezzi, abbassando qua e là le note di qualche ottava o saltando alcuni versi, approfittando il più possibile dei cori del pubblico e delle numerosissime parti strumentali per riposare la voce. Tuttavia il suo impegno è evidente ed è saggio nel non voler strafare.
La risposta del pubblico è comunque vivace e la band si diverte a interagire con esso nel corso del concerto. Nei quattro pezzi finali la partecipazione è massima. Con “Space Truckin’” la platea esplode di energia e persino le persone sugli spalti (rimaste deludentemente sedute per l’intera durata dell’esibizione) fremono. Seguono le note della canzone di Lucignolo di Italia Uno (mi sembra che il titolo sia “Smoke On The...” o qualcosa del genere) e, malgrado lo sputtanamento generale che ha dovuto vivere il brano, vederlo eseguito dal vivo è emozionante e Gillan fa giocare il pubblico sui cori. Il concerto di chiude dopo due ore quasi ininterrotte con la trascinante e sempreverde “Hush” (la migliore fra quelle eseguite) e l’altra arcinota e supercantata “Black Night”.
Il concerto finisce lasciando dietro di se opinioni discordanti. Da un lato la risposta tutto sommato fredda della platea e alcune pecche stilistiche della band (di Gillan in particolare) non rendono sicuramente il concerto memorabile, dall’altro l’emozione di vedere dal vivo tali leggende fa valer la pena di essere stati presenti ad ammirare una loro esibizione.
Recensione a cura di Giacomo Falcon. Progetto Felix
Opening: Maurizio Solieri
I Deep Purple non necessitano di presentazioni: progenitori dell’hard rock, giunti al diciottesimo album, possono vantare, attraverso ben otto cambiamenti di formazione, quella che probabilmente è la carriera più longeva del genere. Tuttavia questo risulta spesso più un difetto che un pregio. Prima di un loro concerto non si può che partire prevenuti: il chitarrista Steve Morse è nella band da quattro album, il tastierista Don Airey da due, e proprio loro due si trovano a dover sostituire i due membri della formazione storica che più di tutti avevano influenzato il suono della band; inoltre il cantante ultrasessantenne Ian Gillan, membro storico della band, un tempo noto per la sua potenza vocale, ha visto le sue doti affievolirsi sempre di più con l’età.
All’ingresso del palazzetto non si può comunque non essere elettrizzati dal poter ammirare dal vivo una band tanto storica come i Deep Purple. Il parterre è pieno e alle gradinate manca davvero poco per registrare il tutto esaurito: il pubblico è variegatissimo, si va dai più antichi affezionati che li hanno potuti ammirare dal vivo negli anni Settanta, fino ai nuovi giovani appassionati e anche non pochi bambini accompagnati dalle famiglie. Nelle gradinate, infatti, è pieno di famiglie al completo, unite ad ammirare quello che si potrebbe considerare un evento generazionale, se non fosse che i Deep Purple fanno un tour un anno sì e l’altro anche e che, come in questo caso, ci siano ben cinque date in Italia.
Apre il concerto la band di Maurizio Solieri, fedele chitarra di Vasco Rossi. Certo è imbarazzante che la sua chitarra sia protagonista assoluta del concerto quando la sua abilità non è poi così grande come si voglia far credere (e alcuni errori si fanno notare), ma il resto della band è formata da musicisti di tutt’altro livello e l’esibizione potrebbe essere stata ritenuta meritevole se non si fosse chiusa con una deludente cover dello stesso Vasco (della cui ombra Solieri sembra impossibilitato a liberarsi) cantata dal tastierista, dotato di una voce tecnicamente perfetta e di timbro altissimo, totalmente diversa da quella di Vasco, e che quindi interpreta “C’è chi dice no” quasi come se fosse un Francesco Renga datosi al power metal.
Passa una mezz’oretta e i Deep Purple si presentano sul palco. Il concerto parte con la storica perla “Highway Star” che, sebbene vagamente rallentata rispetto agli anni d’oro come la maggioranza della canzoni in scaletta, carica tantissimo il pubblico. La scaletta, però, inizialmente smorza l’entusiasmo, essendo composta da diversi pezzi più recenti, a cui il pubblico risponde più freddamente rispetto agli inni rock della prima parte della carriera. Tuttavia, a concerto finito, più della metà delle canzoni suonate sono datate ai primi anni Settanta e l’album capolavoro della band “Machine Head” è stato eseguito quasi totalmente.
I musicisti della band sono tutti in forma e ognuno sa dare prova della propria abilità nell’infinità di assoli dedicati ad ogni singolo strumento nel corso dell’esibizione, aiutati anche dall’acustica praticamente perfetta della location. In particolare Steve Morse, dotato di enormi abilità chitarristiche, fa benissimo il suo lavoro di copiatura dello storico chitarrista Ritchie Blackmore, di cui però non riesce a imitare l’enorme ispirazione, finendo per proporre dei soli altamente tecnici ma in fondo molto sterili. La grande pecca del concerto è, comunque, il cantante Ian Gillan che, come secondo pronostici, non riesce a farsi valere vocalmente sin dai primi pezzi, abbassando qua e là le note di qualche ottava o saltando alcuni versi, approfittando il più possibile dei cori del pubblico e delle numerosissime parti strumentali per riposare la voce. Tuttavia il suo impegno è evidente ed è saggio nel non voler strafare.
La risposta del pubblico è comunque vivace e la band si diverte a interagire con esso nel corso del concerto. Nei quattro pezzi finali la partecipazione è massima. Con “Space Truckin’” la platea esplode di energia e persino le persone sugli spalti (rimaste deludentemente sedute per l’intera durata dell’esibizione) fremono. Seguono le note della canzone di Lucignolo di Italia Uno (mi sembra che il titolo sia “Smoke On The...” o qualcosa del genere) e, malgrado lo sputtanamento generale che ha dovuto vivere il brano, vederlo eseguito dal vivo è emozionante e Gillan fa giocare il pubblico sui cori. Il concerto di chiude dopo due ore quasi ininterrotte con la trascinante e sempreverde “Hush” (la migliore fra quelle eseguite) e l’altra arcinota e supercantata “Black Night”.
Il concerto finisce lasciando dietro di se opinioni discordanti. Da un lato la risposta tutto sommato fredda della platea e alcune pecche stilistiche della band (di Gillan in particolare) non rendono sicuramente il concerto memorabile, dall’altro l’emozione di vedere dal vivo tali leggende fa valer la pena di essere stati presenti ad ammirare una loro esibizione.
Recensione a cura di Giacomo Falcon. Progetto Felix
Franz Ferdinand Live @ Palazzo del Turismo, Jesolo (VE), 8 Dicembre 2009
Franz Ferdinand Live @ Palazzo del Turismo, Jesolo (VE), 8 Dicembre 2009
Opening: The Phenomenal Handclap Band
Dal 2004 gli scozzesi Franz Ferdinand hanno contribuito in modo determinante a rendere l’indie britannico uno dei generi musicali più importanti di questo decennio, nel bene e nel male. Giunti al terzo album, si esibiscono per l’ultima volta in Italia nel 2009 al Palazzo del Turismo di Jesolo, in quella che è in 10 mesi la loro quinta data in territorio nostrano.
Forse proprio perché è già la quinta data (e in una location difficilmente raggiungibile da chi non fosse del posto) o forse perché la temperatura e le precipitazioni sono severe, nel palazzetto, soprattutto sulle gradinate, ci sono diversi posti liberi. Il pubblico è composto quasi esclusivamente di giovani e giovani adulti, tra cui molti appassionati del genere e altri semplicemente curiosi.
Il concerto è preceduto dai newyorkesi The Phenomenal Handclap Band, collettivo di otto (anche se io non sono riuscito a contarne più di sette) musicisti che con le loro canzoni esplorano i più diversi generi musicali, fornendo un’immagine molto sfaccettata della band. Dopo un inizio strumentale molto affine alla psichedelia e al rock progressivo di inizio anni Settanta che impressiona positivamente il pubblico, si esibiscono in diversi pezzi, ognuno di genere fondamentalmente diverso dall’altro, che però tradiscono le aspettative del pubblico. L’unica canzone che spicca è “15 to 20”, brano leggero indie-pop di ispirazione funky che riesce ad avere un buon impatto. L’esibizione si conclude con la partecipazione di Alex Kapranos e Nick McCarthy, voce e chitarra dei Franz Ferdinand, che salgono sul palco in anticipo sorprendendo gli spettatori.
Passa mezz’ora e i due tornano sul palco, questa volta accompagnati dal bassista Bob Hardy e dal batterista Paul Thomson: il concerto dei Franz Ferdinand è iniziato. Si parte con “No You Girls”, dell’ultimo album e il pubblico si scatena. Si scatena all’inverosimile (a volte anche ai limiti del permissibile), con enorme partecipazione, che esplode nella trascinante “This Fire”. Il cantante Kapranos si dimostra un grande intrattenitore rock, ma spesso il protagonista è incredibilmente il chitarrista McCarthy, che con il suo carisma e la sua frenesia dona un’esibizione spettacolare. Ed è questo che il concerto dei Franz Ferdinand è stato: puro spettacolo, connubio perfetto tra divertimento e musica, avvalorato da piacevoli giochi di luce e dall’acustica notevole del Palazzo del Turismo.
Assoluti protagonisti della scaletta sono l’ultimo album “Tonight” e quello omonimo di esordio, con qualche pezzo dell’album intermedio “You Could Have It So Much Better”, come “Outsiders”, pezzo brillante concluso dal vivo, grazie a un’ottima trovata dalla band, in un ritmo quasi tribale scatenato dai quattro membri che suonano forsennatamente diversi tamburi e qualche piatto.
I Franz Ferdinand escono così dal palco, lasciando il pubblico ormai irrefrenabile per pochi minuti. Rientrano esibendosi in “Live Alone”, “Micheal” e “All My Friends”, una cover degli LCD Soundsystem.
A chiudere il concerto c’è “Lucid Dreams”, il lungo pezzo dell’ultimo album che traghetta la band da sonorità indie-rock a suoni più elettronici, concludendosi in tre minuti quasi esclusivamente affidati ai sintetizzatori. Questi tre minuti, nella versione live di Jesolo, diventano quasi un quarto d’ora, in cui salgono sul palco anche tutti i membri del gruppo spalla The Phenomenal Handclap Band, per un totale di dodici musicisti, di cui ognuno fa un po’ quello che vuole… C’è chi suona i synth, chi suona la batteria (il fedele Thomson, ovviamente) e chi, come le coriste, cantano nuovamente “15 to 20” sulla base di Lucid Dreams. Ci sono poi McCarthy e Kapranos che si lanciano tra la folla in tripudio. Kapranos, dopo aver perso le scarpe, riesce a farsi beffe della security portando sul palco una decina abbondante di persone a caso, che contribuiscono a rendere la situazione sullo stage sempre più caotica. Ma è giusto così.
Prima i fan, poi The Phenomenal Handclap Band e infine i membri dei Franz Ferdinand lasciano il palco; l’unico rimanente è il batterista Thomson, che si esibisce in un breve assolo sul finire del brano, per poi chiudere definitivamente il concerto.
Il pubblico esce tornando al gelo dell’esterno, ma è scaldato dal calore del concerto appena finito. Si sono divertiti tutti nel Palazzo del Turismo, quella sera. Ma chi si è divertito di più sono i Franz Ferdinand, come dimostra la durata ben superiore alle due ore del concerto, quasi mezz’ora in più rispetto allo standard della band.
Recensione a cura di Giacomo Falcon.
Progetto Felix
Opening: The Phenomenal Handclap Band
Dal 2004 gli scozzesi Franz Ferdinand hanno contribuito in modo determinante a rendere l’indie britannico uno dei generi musicali più importanti di questo decennio, nel bene e nel male. Giunti al terzo album, si esibiscono per l’ultima volta in Italia nel 2009 al Palazzo del Turismo di Jesolo, in quella che è in 10 mesi la loro quinta data in territorio nostrano.
Forse proprio perché è già la quinta data (e in una location difficilmente raggiungibile da chi non fosse del posto) o forse perché la temperatura e le precipitazioni sono severe, nel palazzetto, soprattutto sulle gradinate, ci sono diversi posti liberi. Il pubblico è composto quasi esclusivamente di giovani e giovani adulti, tra cui molti appassionati del genere e altri semplicemente curiosi.
Il concerto è preceduto dai newyorkesi The Phenomenal Handclap Band, collettivo di otto (anche se io non sono riuscito a contarne più di sette) musicisti che con le loro canzoni esplorano i più diversi generi musicali, fornendo un’immagine molto sfaccettata della band. Dopo un inizio strumentale molto affine alla psichedelia e al rock progressivo di inizio anni Settanta che impressiona positivamente il pubblico, si esibiscono in diversi pezzi, ognuno di genere fondamentalmente diverso dall’altro, che però tradiscono le aspettative del pubblico. L’unica canzone che spicca è “15 to 20”, brano leggero indie-pop di ispirazione funky che riesce ad avere un buon impatto. L’esibizione si conclude con la partecipazione di Alex Kapranos e Nick McCarthy, voce e chitarra dei Franz Ferdinand, che salgono sul palco in anticipo sorprendendo gli spettatori.
Passa mezz’ora e i due tornano sul palco, questa volta accompagnati dal bassista Bob Hardy e dal batterista Paul Thomson: il concerto dei Franz Ferdinand è iniziato. Si parte con “No You Girls”, dell’ultimo album e il pubblico si scatena. Si scatena all’inverosimile (a volte anche ai limiti del permissibile), con enorme partecipazione, che esplode nella trascinante “This Fire”. Il cantante Kapranos si dimostra un grande intrattenitore rock, ma spesso il protagonista è incredibilmente il chitarrista McCarthy, che con il suo carisma e la sua frenesia dona un’esibizione spettacolare. Ed è questo che il concerto dei Franz Ferdinand è stato: puro spettacolo, connubio perfetto tra divertimento e musica, avvalorato da piacevoli giochi di luce e dall’acustica notevole del Palazzo del Turismo.
Assoluti protagonisti della scaletta sono l’ultimo album “Tonight” e quello omonimo di esordio, con qualche pezzo dell’album intermedio “You Could Have It So Much Better”, come “Outsiders”, pezzo brillante concluso dal vivo, grazie a un’ottima trovata dalla band, in un ritmo quasi tribale scatenato dai quattro membri che suonano forsennatamente diversi tamburi e qualche piatto.
I Franz Ferdinand escono così dal palco, lasciando il pubblico ormai irrefrenabile per pochi minuti. Rientrano esibendosi in “Live Alone”, “Micheal” e “All My Friends”, una cover degli LCD Soundsystem.
A chiudere il concerto c’è “Lucid Dreams”, il lungo pezzo dell’ultimo album che traghetta la band da sonorità indie-rock a suoni più elettronici, concludendosi in tre minuti quasi esclusivamente affidati ai sintetizzatori. Questi tre minuti, nella versione live di Jesolo, diventano quasi un quarto d’ora, in cui salgono sul palco anche tutti i membri del gruppo spalla The Phenomenal Handclap Band, per un totale di dodici musicisti, di cui ognuno fa un po’ quello che vuole… C’è chi suona i synth, chi suona la batteria (il fedele Thomson, ovviamente) e chi, come le coriste, cantano nuovamente “15 to 20” sulla base di Lucid Dreams. Ci sono poi McCarthy e Kapranos che si lanciano tra la folla in tripudio. Kapranos, dopo aver perso le scarpe, riesce a farsi beffe della security portando sul palco una decina abbondante di persone a caso, che contribuiscono a rendere la situazione sullo stage sempre più caotica. Ma è giusto così.
Prima i fan, poi The Phenomenal Handclap Band e infine i membri dei Franz Ferdinand lasciano il palco; l’unico rimanente è il batterista Thomson, che si esibisce in un breve assolo sul finire del brano, per poi chiudere definitivamente il concerto.
Il pubblico esce tornando al gelo dell’esterno, ma è scaldato dal calore del concerto appena finito. Si sono divertiti tutti nel Palazzo del Turismo, quella sera. Ma chi si è divertito di più sono i Franz Ferdinand, come dimostra la durata ben superiore alle due ore del concerto, quasi mezz’ora in più rispetto allo standard della band.
Recensione a cura di Giacomo Falcon.
Progetto Felix
Biffy Clyro @Tunnel club, Milano 07/12/2009
E’ stata spostata al Tunnel di Milano l’unica data italiana da headliner dei Biffy Clyro, band scozzese che dopo aver accompagnato i Muse durante le recenti tappe a Torino e Bologna, avrebbe dovuto suonare al Musicdrome. Forti della possibilita’ di esibirsi davanti ad un pubblico tutto loro, Simon Neil e compagni salgono puntualissimi sul piccolo palco poco dopo le 21.00, e il cambio di location si dimostra quanto mai azzeccato per l’approccio diretto che la band riesce ad avere verso il pubblico. Neil da’ prova di straordinaria potenza tecnica e vocale, cosi’ come i gemelli Johnston, sincronizzati e armonici. La scaletta e’ inaspettata ed eterogenea, si salta dal recentissimo Only Revolutions, al penultimo album Puzzle, passando da Infinity land fino ad arrivare all’EP di esordio Blackened Sky. I tre dimostrano di saper riprodurre al massimo delle possibilita’ sia le ballate melodiche, come ad esempio il singolo recente The captain o la sempre emozionante Machines, che i loro maggiori successi, ancora piu’ carichi e graffianti nella versione live, su tutti Who's Got A Match o Glitter And Trauma. Tra un ancheggiamento ammiccante e una schitarrata violenta Simon Neil comunica che avrebbero voluto suonare piu’ a lungo ma che sono costretti a chiudere in anticipo a causa delle esigenze della location. Quindi concludono con Many Of Horror e Mountains, che vengono eseguite piuttosto velocemente, e i Biffy Clyro lasciano il palco tra la folla senza concedere bis. Leggere proteste da parte del pubblico che pero’, ripensando allo show appena terminato, puo’ ritenersi piu’ che soddisfatto. Mara
Muse @Palaolimpico Torino 04/12/2009 The Resistance tour
Torino, 4 dicembre 2009: Ultima data europea del Resistance tour. Dopo tanta attesa dall’uscita dell’ultimo omonimo album The Resistance, che ha diviso la critica, i Muse tornano in Italia per un mega show musicale. Tocca agli scozzesi Biffy Clyro aprire anche questa data, dopo quella di Bologna del 21 novembre scorso. Poco dopo le 21.00 l’imponente scenografia comincia a muoversi e i teli che ricoprono le tre torri svettanti sul palco con visibilita’ a 360 gradi finalmente cadono. Matt Bellamy e’ a sinistra seguito al centro e a destra dai compagni Dom e Chris, rispettivamente alla batteria e al basso. Si parte con il singolone Uprising, seguito dal pezzo che da’ il nome all’album e come sempre i Muse mostrano le loro grandi capacita’ live. Poi la scenografia si abbassa lasciando pochissimo spazio di distanza tra la band e il pubblico nel parterre. Da qui parte una serie di pezzi appartenenti agli album precedenti, a cominciare dall’acclamatissima New born (contenuta nel secondo album della band, Origin of simmetry), seguita dall’alternanza tra gli album Black holes and revelation, e il fortunato Absolution. Potentissima l’emozionante Butterflies and hurricanes, e sorprendente la non prevista dai fans in delirio Sunburn eseguita al pianoforte, perla dal primo album Showbiz, che mostra le qualita’ da pianista di Bellamy in maniera evidente. I pezzi dell’ultimo album acquistano positivita’ nella versione live, pur pero’ continuando a non reggere il confronto con successi come Plug in baby o Time is running out. Tra un pezzo e l’altro c’e’ spazio anche per un’improvvisazione basso-batteria. Effetti di luce laser e palloni bianchi tra la folla (gia’ visti durante l’Absolution tour qualche anno fa, e ormai diventati un marchio distintivo delle loro esibizioni) si aggiungono ad una scenografia importante, per supportare una performance che colpirebbe anche se fosse priva di effetti speciali. Knights of Cydonia chiude l’encore e per il 2009 e’ tutto. Prossima tappa italiana S.Siro 2010.
Living Colour @ Deposito Giordani Domenica 22 Novembre 2009
In occasione della pubblicazione del nuovo cd di inediti "The Chair in the Doorway", i Living Colour stanno affrontando un tour europeo che li ha portati ad esibirsi domenica 22 al Deposito Giordani. Il gruppo newyorkese ha infiammato il deposito il con il suond energico ed eclettico che li contraddistingue da oltre vent'anni, richiamando un pubblico numeroso e particolarmente variegato. La band ha presentato una scaletta molto equilibrata, alternando brani "storici" come "Middleman", "Ignorance is bliss" e "Elvis is dead" a pezzi estratti dal nuovo album come "Burned Bridges", "Decadence" e "The Chair". In ogni brano eseguito emergono le straordinarie capacità di questi di musicisti, accentuate da una naturalezza di esecuzione davvero rare. Sul palco sono loro i primi a divertirsi, il loro affiatamento si trasmette al pubblico e rende lo spettacolo molto coinvolgente. Continua è la ricerca di contatto con coloro che ascoltano tanto che, durante un'esibizione, il bassista Doug Wimbish scende dal palco ed esegue il suo assolo fra il pubblico, piacevolmente stupito dal fuori programma. La serata offre momenti ad alto tasso tecnico, come quando, dopo aver suonato "Bi", il gruppo esce di scena per lasciar scatenare il batterista Will Calhoun in un'improvvisazione feroce, in cui, oltre ad esibire tutto il suo valore, gioca con gli effetti luce e video (suona con delle bacchette luminose, in simultanea con lo schermo che propone le immagini in diretta.). Una volta ritornati sul palco, i Living Color presentano altri tre brani dal lavoro più recente: "Behind the Sun", "Bless Those" e "Young Man" proposta in abbinata con la classica "Release the Pressure". Si chiude in bellezza con "Cult of Personality", forse il brano più noto della band, che concede il bis ad un pubblico davvero restio a lasciarli andare. Wow, Colour do it better!
L'ale
L'ale
Marylin Manson - Treviso - 26/11 - Palaverse
Il Reverendo nella terra degli Sceriffi
Giovedì 26 novembre Si è tenuto il concerto di Marilyn Manson nell’arena Palaverde Villorba (TV). Giorni prima dell’evento i media locali hanno scatenato il rituale putiferio con titoli del tipo: “Treviso. «Pericolo droga e satanismo, vietiamo il concerto di Marilyn Manson - La star americana domani al Palaverde, per l'esperto di sette lo spettacolo sarà «un buon ambito per far uso di stupefacenti»;oppure grazie alla scelta del “Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica”, riunitosi mercoledì in prefettura a Treviso, ha decretato il divieto di vendita di alcolici dentro e fuori il Palaverde in occasione del concerto di Marilyn Manson e prevedendo dinanzi alla location del live show un inflessibile servizio di sicurezza, con cani anti-droga e filtraggio degli ingressi.D’altronde il buon Reverendo suppongo sia abituato a queste forme di promozione involontaria…Così mi avvio a vedere il concerto con i miei due amici “satanisti, tossici e alcolizzati” pronti ad innalzare i nostri canti al nostro signore Belzebù.Sorpresa, sorpresa… cosa ci troviamo? Gente di tutte le età, classi sociali, etnie che viene ad ascoltare una rockstar… però c’è qualcosa che non mi torna… ad un certo appunto tutto mi appare più chiaro ed esclamo:“Ma come??” Mi domando io: “Neanche un satanista che sgozza giovani adolescenti? Neanche un pusher che mi vuole vendere una ghiandola pineale?? Mah… non ci sono più i concerti di una volta…quasi quasi vado allo stadio a gettare qualche scooter dalle gradinate o vado al parlamento a sentire un po’ di insulti variopinti!!”Alla fine resto a sentire questo concerto in cui Marilyn Manson, ormai un po’ fuori forma, conduce dignitosamente e professionalmente un concerto suonato e cantato molto bene.Poche trasgressioni ma molte suggestioni visive e sonore recuperate dallo stile dei suoi ultimi lavori.Il pubblico dimostra di conoscere e apprezzare soprattutto il primo terzetto di dischi del Reverendo (Portrait of an American Family (1994), Antichrist Superstar (1996), Mechanical Animals (1998) mentre rispetto agli altri brani c’è una risposta più freddina.Nelle prime file si poga ma senza esagerare mentre nelle file posteriori il pubblico si può gustare una buona restituzione sonora da parte della struttura ospitante.Questa la scaletta della serata:1. Cruci-Fiction in Space
2. Disposable Teens
3. Pretty as a Swastika
4. The Love Song
5. Irresponsible Hate Anthem
6. Four Rusted Horses
7. Devour
8. Dried Up, Tied and Dead to the World
9. Coma White / Coma Black
10. We’re From America
11. The Dope Show
12. Rock is Dead
13. Sweet Dreams (are made of this) (Eurythmics cover)
14. Rock ‘n’ Roll Nigger (Patti Smith cover)
15. The Beautiful People. Circa due ore di spettacolo, nessun bis (anzi il concerto finisce in maniera molto brusca) e poi il Reverendo “scappa” senza degnare il suo pubblico di un autografo o quant’altro.La gestione del concerto da parte dell’Azalea (l’ente organizzatore) è stata molto buona.Bel concerto, bello spettacolo, buona la salamella e la birretta fuori dal concerto ma se la prossima volta non ci sono le mie ghiandole pineali la recensione sarà molto più negativa!!! Recensione Zanca- GoGo –
Giovedì 26 novembre Si è tenuto il concerto di Marilyn Manson nell’arena Palaverde Villorba (TV). Giorni prima dell’evento i media locali hanno scatenato il rituale putiferio con titoli del tipo: “Treviso. «Pericolo droga e satanismo, vietiamo il concerto di Marilyn Manson - La star americana domani al Palaverde, per l'esperto di sette lo spettacolo sarà «un buon ambito per far uso di stupefacenti»;oppure grazie alla scelta del “Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica”, riunitosi mercoledì in prefettura a Treviso, ha decretato il divieto di vendita di alcolici dentro e fuori il Palaverde in occasione del concerto di Marilyn Manson e prevedendo dinanzi alla location del live show un inflessibile servizio di sicurezza, con cani anti-droga e filtraggio degli ingressi.D’altronde il buon Reverendo suppongo sia abituato a queste forme di promozione involontaria…Così mi avvio a vedere il concerto con i miei due amici “satanisti, tossici e alcolizzati” pronti ad innalzare i nostri canti al nostro signore Belzebù.Sorpresa, sorpresa… cosa ci troviamo? Gente di tutte le età, classi sociali, etnie che viene ad ascoltare una rockstar… però c’è qualcosa che non mi torna… ad un certo appunto tutto mi appare più chiaro ed esclamo:“Ma come??” Mi domando io: “Neanche un satanista che sgozza giovani adolescenti? Neanche un pusher che mi vuole vendere una ghiandola pineale?? Mah… non ci sono più i concerti di una volta…quasi quasi vado allo stadio a gettare qualche scooter dalle gradinate o vado al parlamento a sentire un po’ di insulti variopinti!!”Alla fine resto a sentire questo concerto in cui Marilyn Manson, ormai un po’ fuori forma, conduce dignitosamente e professionalmente un concerto suonato e cantato molto bene.Poche trasgressioni ma molte suggestioni visive e sonore recuperate dallo stile dei suoi ultimi lavori.Il pubblico dimostra di conoscere e apprezzare soprattutto il primo terzetto di dischi del Reverendo (Portrait of an American Family (1994), Antichrist Superstar (1996), Mechanical Animals (1998) mentre rispetto agli altri brani c’è una risposta più freddina.Nelle prime file si poga ma senza esagerare mentre nelle file posteriori il pubblico si può gustare una buona restituzione sonora da parte della struttura ospitante.Questa la scaletta della serata:1. Cruci-Fiction in Space
2. Disposable Teens
3. Pretty as a Swastika
4. The Love Song
5. Irresponsible Hate Anthem
6. Four Rusted Horses
7. Devour
8. Dried Up, Tied and Dead to the World
9. Coma White / Coma Black
10. We’re From America
11. The Dope Show
12. Rock is Dead
13. Sweet Dreams (are made of this) (Eurythmics cover)
14. Rock ‘n’ Roll Nigger (Patti Smith cover)
15. The Beautiful People. Circa due ore di spettacolo, nessun bis (anzi il concerto finisce in maniera molto brusca) e poi il Reverendo “scappa” senza degnare il suo pubblico di un autografo o quant’altro.La gestione del concerto da parte dell’Azalea (l’ente organizzatore) è stata molto buona.Bel concerto, bello spettacolo, buona la salamella e la birretta fuori dal concerto ma se la prossima volta non ci sono le mie ghiandole pineali la recensione sarà molto più negativa!!! Recensione Zanca- GoGo –
Dè Andrè canta De Andrè - Pordenone - 13 Novembre
Dopo un’attesa di 20 minuti, durante i quali cresce sempre di più la domanda che tutti si stanno facendo e cioè “cosa ci aspetterà?”, eccolo entrare, con i musicisti al seguito. Cristiano si posiziona al centro del palco, circondato da chitarre, violino, tastiera, e con il bouzouki attacca “Megu Megun”. L’intensità è tale da far venire subito i brividi anche se si capisce immediatamente il taglio decisamente rock che avrà il concerto; la chitarra elettrica e la strumentazione elettronica fanno da protagonisti e la sezione ritmica è importante, suonata sempre impeccabilmente. Questo setting funziona veramente bene su brani come “Quello che non ho”, “Amico fragile” che offre uno dei migliori a soli di chitarra elettrica e viene cantato magistralmente, “’A cimma” nella quale i riverberi della voce sono studiati ad arte, “Don Raffaè”.
Lascia invece perplesso il pubblico la versione di “Ho visto Nina volare” dove viene stravolta la ritmica del canto e l’arrangiamento, “Se ti tagliassero a Pezzetti” con un riff un po’ troppo commerciale ed eccessi di tastiere che contrastano troppo con la delicatezza del testo e “Fiume Sand Creek” che risulta molto pop (anche troppo) e viene suonata con eccessiva foga.
Da “Verranno a chiederti del nostro amore” in poi, suonata e cantata talmente bene da Cristiano da risultare quasi meglio della versione del padre, si cominciano a respirare atmosfere più “familiari”. Il medley con “Andrea”, “La cattiva strada” e “Un giudice” viene proposto con tre chitarre acustiche, contrabbasso e percussioni e il sound è veramente di grande impatto. Con “Creuza de ma” si scioglie definitivamente la carica accumulata trasformandosi in autentico trasporto esaltato della fusione fra strumenti e voce che richiama e amplifica il dolce canto dei pescatori in un clima del tutto etnico e soave.
Il concerto si chiude (senza aver fatto “Tre Madri”) con “Fiume Sand Creek”, poi aspettiamo i bis. E finalmente Cristiano comincia a suonare veramente il violino! Sì, perché fino ad ora lo aveva suonato in versione rock, molto effettato, tanto che a volte si confondeva con la chitarra elettrica, e a noi che siamo degli amanti dei suoni autentici aveva lasciato un po’ l’amaro in bocca… In “Zirichiltaggia” e “Il pescatore” si scatena, la band sul palco e il pubblico sotto. Cristiano suona e canta contemporaneamente con maestria ma soprattutto si scioglie e ritorna alla sua veste da polistrumentista: e che strumentista!
Insomma, bel concerto, anche se ci è mancato un po' l'intimismo a cui ci aveva abituati Faber.
Paolo & Chiara
Lascia invece perplesso il pubblico la versione di “Ho visto Nina volare” dove viene stravolta la ritmica del canto e l’arrangiamento, “Se ti tagliassero a Pezzetti” con un riff un po’ troppo commerciale ed eccessi di tastiere che contrastano troppo con la delicatezza del testo e “Fiume Sand Creek” che risulta molto pop (anche troppo) e viene suonata con eccessiva foga.
Da “Verranno a chiederti del nostro amore” in poi, suonata e cantata talmente bene da Cristiano da risultare quasi meglio della versione del padre, si cominciano a respirare atmosfere più “familiari”. Il medley con “Andrea”, “La cattiva strada” e “Un giudice” viene proposto con tre chitarre acustiche, contrabbasso e percussioni e il sound è veramente di grande impatto. Con “Creuza de ma” si scioglie definitivamente la carica accumulata trasformandosi in autentico trasporto esaltato della fusione fra strumenti e voce che richiama e amplifica il dolce canto dei pescatori in un clima del tutto etnico e soave.
Il concerto si chiude (senza aver fatto “Tre Madri”) con “Fiume Sand Creek”, poi aspettiamo i bis. E finalmente Cristiano comincia a suonare veramente il violino! Sì, perché fino ad ora lo aveva suonato in versione rock, molto effettato, tanto che a volte si confondeva con la chitarra elettrica, e a noi che siamo degli amanti dei suoni autentici aveva lasciato un po’ l’amaro in bocca… In “Zirichiltaggia” e “Il pescatore” si scatena, la band sul palco e il pubblico sotto. Cristiano suona e canta contemporaneamente con maestria ma soprattutto si scioglie e ritorna alla sua veste da polistrumentista: e che strumentista!
Insomma, bel concerto, anche se ci è mancato un po' l'intimismo a cui ci aveva abituati Faber.
Paolo & Chiara
Amari Live @ Zion Rock Club, Conegliano (TV), 14 Novembre 2009
Opening: Carnifull Trio
Serata dedicata all’etichetta Riotmaker allo Zion Rock Club con le esibizioni live dei Carnifull Trio e degli Amari, ospiti principali della serata. Secondo alcune indiscrezioni ci sarebbe dovuto essere anche il dj-set del duo Fare Soldi, anche se a seguire gli Amari ha suonato il dj resident del club e dei Fare Soldi si è persa ogni traccia.
I Carnifull Trio si presentano sul palco con un elegante e doveroso ritardo suonando poi per quasi un’ora. Il loro sound indie-rock per chitarra e batteria è impreziosito dalle percussioni elettroniche, anche se purtroppo sono penalizzati dall’acustica non troppo curata che rende gran parte dei bassi spesso troppo assordanti.
Al termine dell’esibizione il pubblico degli Amari è radutato sotto il palco, scaldato dai Carnifull Trio e pronto al main event. L’età media è discretamente bassa e il pubblico (almeno sotto il palco) è principalmente femminile, forse perché, soprattutto considerato il loro sound sempre meno di nicchia e sempre più pop, potrebbero essere considerati dai più come una band “adolescenziale”. Opinione fondamentalmente sbagliata, in quanto alla loro facciata scanzonatamente pop sanno aggiungere delle più studiate basi electro-funk, chitarre indie e la loro vena hip-hop, che era stato il loro marchio di fabbrica alle origini.
Gli Amari salgono sul palco e la folla è in visibilio. Nella scaletta sono presenti numerosi brani di “Poweri”, il loro ultimo album, benché il pubblico, forse non ancora familiare con il nuovo lavoro, si sia dimostrato più coinvolto durante l’esecuzione dei loro pezzi “classici”, tratti da album come “Scimmie D’Amore” e “Gran Master Mogol”. È proprio una canzone di “Poweri” ad aprire il concerto, seguita poi da “Dovresti Dormire” dello stesso album e dalla splendida “Arpegginlove”, pezzo storico della band.
I problemi dell’acustica dell’esibizione precedente sono risolti e infatti la resa dell’intricata trama di suoni è ottima, benché a tratti soffochi leggermente le parti del cantato “rappate” e alcuni passaggi della chitarra. L’energia dal palco però si sente e infatti “Manager nella Nebbia” e “30 Anni Che Non Ci Vediamo” riescono benissimo. Seguono “Tiger”, sempre dal nuovo disco, e il vecchio singolo “Le Gite Fuori Porta”, rivisitazione di “Summer Drops” dei Settlefish.
Sicuramente l’immagine più bella che si può conservare di un live come questo è il divertimento dei ragazzi sul palco, che ha saputo rendere il pubblico sempre più caldo man mano che il concerto volgeva al termine, tanto da lasciare alla fine il pubblico esultante e inneggiante al “bis”. Con gli ultimi due pezzi si conclude l’esibizione degli Amari nella cornice dello Zion, che aderisce perfettamente allo stile della band.
Recensione a cura del Compact Disc “Art4ArtSake” Collective (Giacomo “Falcon DJ” Falcon e Alessandro “Inoxidabilex” Gabbana). Felix
Birra2O - Operazione Punklove
I Birra2O sono un gruppo punk rock di Novara in Piemonte (regione devo dire molto attiva in ambito punk e hc e culla di gruppi come Nerorgasmo e Negazione).
Partendo dal presupposto che il nome è molto figo e incisivo i Birra2o suonano un punk rock sulla falsa riga di PeterPunk, Moravagine e un po’ di Pornoriviste.
Il disco è energico, ha delle buone ritmiche con la batteria in perfetto stile punk rock. Le chitarre suonano dei bei riff che a tratti sfociano in pezzi in levare e parti più pesanti. La voce alterna un cantato grezzo quanto basta ad alcune parti più tranquille e a delle sfuriate incredibili da gruppo hardcore! I ritornelli prendono con efficacia tanto da farti venir voglia di scatenarti come ad un concerto. Alcuni stacchi sono davvero violenti, quasi metal, e si adeguano molto bene al contesto.
Il Disco si apre con “Operazione Punklove”, seguono “Ma Tu Puoi”, “Tornerai” e“Ieri” con i suoi sfoghi violenti accompagnati da stacchi più melodici, la raggiunge “Un Altro Venerdì”, “Ma Ancora Rido” e “Caduta Libera” nonostante il testo di due righe è una canzone (o meglio una specie di intervallo) davvero piena di energia. Dopodiché troviamo “Me Stesso”, “On The Road” e “Statuto del Punklove” una canzone movimentata e allegra. Il disco si conclude con “Neve” una canzone nella quale prevale una linea acustica ma che poi lascia spazio al ritmo punk per concludersi con violenza.
Nulla da criticare per quanto riguarda gli strumenti e la voce ma qualcosa da dire sui testi c’è. Forse sono un po’ troppo “innocui” per la musica suonata e comunque richiamano troppo gruppi che, devo dire, non hanno niente da spartire con i Birra2O e con il punk! Dovrebbero essere più marci e grezzi senza intaccare però l’ideale del Punklove!!
www.myspace.com/birra2o
www. birra2o.com
Felix
Massive Attack - Live 8 Novembre - Zoppas Arena
E' domenica 8 Novembre e ci dirigiamo alla Zoppas Arena di Conegliano per assistere al concerto dei Massive Attack, pionieri e inventori del trip pop, autorità musicali riconosciute a livello mondiale. Dirigendoci verso il parterre ghermito dell'arena la prima cosa che ci salta all'occhio sono le tribune: vuote! e non appena inizia l'esibizione (senza troppo ritardo) ci salta all'orecchio anche il pessimo effetto acustico che il palazzatto regala.. Un vero peccato, perchè la musica dei Massive Attack va ascoltata con orecchio attento a tutte le sfumature. Il gruppo, non potendosi concedere movimenti ampi sul palco, opta per uno spettacolo "ottico", improntato al gioco di luce. Dietro al palco è stato innalzato un vero e proprio muro di mega schermi, che seguendo il ritmo dei brani eseguiti trasmette immagini, sequenze, raggi luminosi sempre più intensi, aumentando l'effetto spettacolare con lo scorrere dei minuti. Uno show nel complesso omogeneo e incisivo, ma i raggi proiettati da dietro il palco disperdono la luminosità, e rischiarano a giorno le tribune vuote, ricordandoci, in modo poco romantico, che stiamo poggiando i piedi su un campetto da pallacanestro. I Massive Attack suonano in modo armonioso, le cantanti eseguono meravigliosamente le loro melodie, durante l'esecuzione dei brani più famosi pare di ascoltare il cd: onore al merito. Una cosa però ci lascia perplessi: quelle scritte che scorrono dietro alle loro spalle, inneggianti al caso Cucchi, al Lodo Alfano e al Premier, non sono forse un po' pretenziose? C'è forse il desiderio di aprire gli occhi agli italiani sulla loro decadenza? Apprezziamo l'impegno e concordiamo sulla validità del messaggio, ma ci paiono dichiarazioni un po' superficiali. Sui megaschermi scorrono quantificazioni monetarie che mettono a confronto il costo medio della vita di un bambino in Africa al patrimonio di Bill Gates. Non sono un po' buoniste da parte di un complesso musicale per cui si pagano 40,00 euro di biglietto a concerto? Chiara Artico
Cosmetic - Non siamo di qui -
"Non siamo di qui" è il titolo dell'ultimo cd dei Cosmetic, un album perfetto da ascoltare mentre si cammina per la strada, magari in uno di quei pomeriggi opachi di cui l'autunno è sempre generoso. Diciamo questo perchè è un cd coinvolgente, con melodie semplici ed orecchiabili, che viene da canticchiare al primo ascolto e le atmosfere proposte sono malinconiche e avvolgenti, con testi semplici abbinati a intriganti sonorità fatte di distorsioni ed effetti ben dosati. L'andare per la città vi distrarrà probabilmente dalla scarsa consistenza del cantato, sempre in precario equilibrio sul fondo granitico della musica, dalla quale viene a volte inghiottito, ma ciò non esclude momenti particolarmente felici, come nel brano "Nè noi nè Leandro".
Punto forte di quasi tutti i pezzi dell’album sono i riff facilmente orecchiabili e a presa rapida sulla memoria, un basso sempre molto presente e intro che invogliano ad ascoltare le canzoni.
Una delle cose migliori del cd è sicuramente la confezione, il disegno di copertina, i colori e le scritte "manuali" sono d'impatto e conferiscono personalità a questo lavoro.
Pezzi migliori:Bolgia celeste,Carlo ha detto e Crostata.
Voto:6.5
Recensione Zanca
Ale
LaJoriga
Progressive Nation 2009 - Zoppas Arena - 30.10.09
Dopo il grande successo ottenuto nella prima parte del tour in America, il circo magico del Progressive Nation '09 giunge in Europa per una serie di date che comprendevano anche le nostre Milano, Roma, Bologna e appunto Conegliano.
La serata comincia in perfetto orario con i canadesi Unexpect, che scaldano il pubblico con il loro stile ibrido, un interessante intruglio di avant-garde, extreme e folk metal, con accenti prog che giustificano la loro presenza alla rassegna. Il palco è un trionfo di dreadlocks, croci e merletti che delizia il pubblico, insieme ai gorgheggi della conturbante cantante del gruppo. Un quarto d'ora dopo è già il turno dei Bigelf, magnifica formazione di Los Angeles e vera rivelazione della serata. La band si rifà molto al rock anni settanta, soprattutto Led Zeppelin e Pink Floyd, e coinvolge il pubblico con brani intensi come "Money, it's pure evil". Il resto lo fa l'interpretazione di Damon Fox, il carismatico ed eccentrico frontman dei Bigelf, che, presentando il proprio gruppo, ironizza sulla presunta impopolarità della band. Questi metallari sono simpatici e pure disponibili, date le centinaia di foto ed autografi concessi ai fans a fine concerto. Ironico è sicuramente Mikael Akerfeldt, il leader degli svedesissimi Opeth. La band non delude le aspettative ed incanta alternando brani recenti come "Lotus Eater" e "Hex Omega" a tracce di anni precedenti da "Windowpane" e "Harlequin Forest" fino a "Blackwater park". Pocoprima di concludere il loro purtroppo corto show durato meno di un'ora, Akerfeldt apre un divertente siparietto durante il quale si informa sui gusti musicali del pubblico ("Do you like Eros Ramazoti?! Suchero? Pavaroti?") e improvvisa un paio di riff dei Kiss, fino a far esplodere la folla in risate dedicando il pezzo finale al nostrano Eros. La canzone in questione era Deliverance, che crea l'unico accenno di pogo in tutta la serata da parte del placido pubblico veneto. Ci salutano prima della partenza per l'ultima data del tour europeo nella capitale slovena, con un bis ben gradito dal pubblico, che a sua volta dimostra calorosamente l'apprezzamento dello show. Da segnalare però la modifica di scaletta rispetto alle scorse date con l'inserimento della già citata “Hex Omega” anziché il capolavoro “The Drapery Falls”. Dopo i famosi trascorsi in cui si contesta la band di staticità e di suoni a volte troppo impastati, questo concerto è stata la controconferma, anche se all'importante ruolo delle tastiere nel genere non è stata resa pienamente giustizia.
Usciti di scena gli Opeth, si accendono le luci e appaiono i Dream Theater. Le "star" della serata partono in bomba ma presentano una scaletta equilibrata, che comprende brani nuovi come "A Nightmare to Remember", "The Count of Tuscany", "Wither" e classici, da "Metropolis" a "Take the time". All'interno delle canzoni trovano naturalmente spazio gli immancabili assoli di Petrucci e soci, che non durano mai meno di qualche minuto e finiscono per rintronare anche il più accanito dei fans. A parte qualche stucchevole eccesso, lo spettacolo è davvero buono, anche perchè un Petrucci un po' imbolsito dà sinceri segni di vita e non sembra il solito alieno incazzato. Anzi, vista la reticenza del pubblico ad andare a casa, lui e il tastierista Jordan Rudess cercano di convincere gli astanti con una ninna nanna inedita, con tanto di sbadiglio furbetto del chitarrista. Un James LaBrie apparentemente in gran forma è l'unico che coinvolge il pubblico, a parte qualche sprazzo di simpatia solita del simil-vichingo (a me sembra più un camionista..) Portnoy,e a differenza dell'Axeman che dalla scorsa spettacolare data di Monza al Gods of Metal ha acquistato una buona decina di chili.Scaletta ridotta ad una decina di pezzi magistralmente eseguiti che però ha destato un po' di stupore e delusione dei fans più giovani che non avendo spesso la possibilità di avere questa enorme band a due passi da casa, si aspettavano sicuramente grandi classici come “Peruvian Sky”, “Erotomania” e la notissima “Pull me under”. A fine concerto Portnoy riemerge dalla batteria e, dopo il solito inchino dirito, giù foto, applausi, baci, abbracci e tanti saluti a tutti.
Bello spettacolo, soprattutto per le qualità audio, video e luci, nuove scoperte e 46 euro sicuramente spesi bene!
L'ale & Mattia
FETENTE - FEET AND TONES
Già dalla prima traccia i toscani TheFeet&tones catapultano l'ascoltatore nell'America degli anni '50 dei gangster, delle Cadillac e di Al Capone, e rendono subito l'idea di ciò che sarà il loro album “Fetente”.
I pezzi sono nel complesso divertenti e ben orecchiabili, buoni gli arrangiamenti anche se spesso i passaggi tra ritornello e strofa, o comunque all'interno del pezzo, sono un po' scontati.
Il loro Ska è sicuramente accessibile a tutti, però c'è da dire che per chi non è un amante del genere, tutto l'ascolto delle quindici tracce dell'album risulta impegnativo.
Grande apprezzamento oltretutto alla fantasia: dal punto di vista musicale cercano di apportare un'impronta più innovativa con suoni ben lontani dagli anni '50 e con effetti digitali inseriti nei giusti momenti; dal punto di vista grafico l'album si presenta con una copertina in vecchio stile lucida e con il CD la cui stampa adesiva lo rende un vinile di nuova generazione.
Il giudizio è sicuramente positivo, anche se speriamo che i pezzi del prossimo album non siano ben eterogenei per i primi 15-20 minuti per poi risultare a volte scontati, con solo i suoni moderni e la linea vocale che li rendono ben differenti tra loro.
Voto:7
Recensione Zanca
Mattia Gottardo
I pezzi sono nel complesso divertenti e ben orecchiabili, buoni gli arrangiamenti anche se spesso i passaggi tra ritornello e strofa, o comunque all'interno del pezzo, sono un po' scontati.
Il loro Ska è sicuramente accessibile a tutti, però c'è da dire che per chi non è un amante del genere, tutto l'ascolto delle quindici tracce dell'album risulta impegnativo.
Grande apprezzamento oltretutto alla fantasia: dal punto di vista musicale cercano di apportare un'impronta più innovativa con suoni ben lontani dagli anni '50 e con effetti digitali inseriti nei giusti momenti; dal punto di vista grafico l'album si presenta con una copertina in vecchio stile lucida e con il CD la cui stampa adesiva lo rende un vinile di nuova generazione.
Il giudizio è sicuramente positivo, anche se speriamo che i pezzi del prossimo album non siano ben eterogenei per i primi 15-20 minuti per poi risultare a volte scontati, con solo i suoni moderni e la linea vocale che li rendono ben differenti tra loro.
Voto:7
Recensione Zanca
Mattia Gottardo
Duracel - La fabbrica dei mostri
Dopo il primo full lenght “Domani è come oggi”, arriva “La fabbrica dei mostri”, seconda fatica dei veneziani Duracel, quartetto punk rock proveniente da Meolo (Venezia).
Freschi di un’intensissima attività live in giro per la penisola, i ragazzi tornano con un disco punk rock vecchio stile, fresco, fluido e divertente.
Sostenuti da un ottimo songwriting e accompagnati dalla voce graffiante di Zamu, i Duracel viaggiano parecchio. Ok, la formula è sempre la stessa: ci sono i soliti tre accordi, la batteria che si alterna tra charleston e rullante, riff di basso lineari.
Già le sento le voci dei detrattori: “Questi vogliono fare i Ramones”, “Il punk è tutto uguale”..Ma chissenefrega! I ragazzi sanno costruire melodie impeccabili e ci mettono il cuore nel suonare. E questa a parer mio è la cosa più importante.
Probabilmente, avessero avuto vent’anni nei primi anni novanta, non avrebbero avuto nulla da invidiare a mostri sacri quali Queers, Screeching Weasel e Riverdales.
Ma andiamo al sodo.
Il disco presenta delle tracce dove è palese immedesimarsi: per i nostalgici, sarà facilissimo riconoscersi in “Novanta”, pezzo nel quale il gruppo si rammarica di non provare più le stesse emozioni di quegli anni e prega affinchè queste tornino (“ridatemi le all star, la mia verginità, ridatemi il pop punk, il grunge”e via dicendo)
Si continua con “La fabbrica dei mostri” e l’ottima “Canzone per la gente”, dove vi è una graffiante invettiva contro i puristi, sentenziosi, pieni di pregiudizi, sempre pronti a puntare il dito.
Si giunge a “Caramella”, in cui con sarcasmo viene trattato il tema delle canzonette estive, costruite a tavolino per il pubblico giovanile per poi giungere dopo “Timido” e “Non siamo più amici” a “Non mi piace ballare” nella quale la classica fighettina non riesce a digerire un due di picche datole dal protagonista della canzone.
Attuali più che mai la traccia “Sfaticato”, in cui si ritrae la giornata tipo di un fannullone odierno e “Vieni al mare con me”, nella quale si invita il gentil sesso a non preoccuparsi troppo del proprio peso forma e pensare solo a divertirsi.
Il disco si conclude con “Largo Tempini” e con la rabbiosa “Quasi identici”.
Che dire quindi di questa prova dei Duracel?
Non si grida al miracolo di certo, i riff sono tipici del punk rock, ma non vi è la banalità di molti gruppi del genere. Seppur nel loro piccolo riescono a differire da altre realtà nazionali, facendosi distinguere per l’ottimo songwriting, che riesce seppure non con termini aulici, a farsi apprezzare per la profondità e la genuinità dei concetti espressi.
Consigliato a tutti i cultori del genere.
Voto:7
Influenze: Screeching Weasel, Queers, Ramones, Riverdales, Teenage Bottlerocket
Loris Tomasella
Freschi di un’intensissima attività live in giro per la penisola, i ragazzi tornano con un disco punk rock vecchio stile, fresco, fluido e divertente.
Sostenuti da un ottimo songwriting e accompagnati dalla voce graffiante di Zamu, i Duracel viaggiano parecchio. Ok, la formula è sempre la stessa: ci sono i soliti tre accordi, la batteria che si alterna tra charleston e rullante, riff di basso lineari.
Già le sento le voci dei detrattori: “Questi vogliono fare i Ramones”, “Il punk è tutto uguale”..Ma chissenefrega! I ragazzi sanno costruire melodie impeccabili e ci mettono il cuore nel suonare. E questa a parer mio è la cosa più importante.
Probabilmente, avessero avuto vent’anni nei primi anni novanta, non avrebbero avuto nulla da invidiare a mostri sacri quali Queers, Screeching Weasel e Riverdales.
Ma andiamo al sodo.
Il disco presenta delle tracce dove è palese immedesimarsi: per i nostalgici, sarà facilissimo riconoscersi in “Novanta”, pezzo nel quale il gruppo si rammarica di non provare più le stesse emozioni di quegli anni e prega affinchè queste tornino (“ridatemi le all star, la mia verginità, ridatemi il pop punk, il grunge”e via dicendo)
Si continua con “La fabbrica dei mostri” e l’ottima “Canzone per la gente”, dove vi è una graffiante invettiva contro i puristi, sentenziosi, pieni di pregiudizi, sempre pronti a puntare il dito.
Si giunge a “Caramella”, in cui con sarcasmo viene trattato il tema delle canzonette estive, costruite a tavolino per il pubblico giovanile per poi giungere dopo “Timido” e “Non siamo più amici” a “Non mi piace ballare” nella quale la classica fighettina non riesce a digerire un due di picche datole dal protagonista della canzone.
Attuali più che mai la traccia “Sfaticato”, in cui si ritrae la giornata tipo di un fannullone odierno e “Vieni al mare con me”, nella quale si invita il gentil sesso a non preoccuparsi troppo del proprio peso forma e pensare solo a divertirsi.
Il disco si conclude con “Largo Tempini” e con la rabbiosa “Quasi identici”.
Che dire quindi di questa prova dei Duracel?
Non si grida al miracolo di certo, i riff sono tipici del punk rock, ma non vi è la banalità di molti gruppi del genere. Seppur nel loro piccolo riescono a differire da altre realtà nazionali, facendosi distinguere per l’ottimo songwriting, che riesce seppure non con termini aulici, a farsi apprezzare per la profondità e la genuinità dei concetti espressi.
Consigliato a tutti i cultori del genere.
Voto:7
Influenze: Screeching Weasel, Queers, Ramones, Riverdales, Teenage Bottlerocket
Loris Tomasella
Macola e i Vibronda - Rovente
Il disco “Rovente” , il secondo di Macola, è stato pubblicato il 15 Settembre 2009. Questo lavoro ruota intorno a diversi temi quali l'amore, la protesta e temi d'attualità.
“Rebelde”, prima canzone dell'album, che viene dedicata alle rivoluzioni dell'America latina, non crea l'atmosfera sud-americana a cui sembra tendere, rimane troppo nel bacino mediterraneo con sonorità non propriamente spagnoleggianti anche se indubbiamente etniche.
“Adesso”, prima canzone d'amore dell'album, ti avvolge subito con il suo ritmo reggae che dà un buon colore al testo che canta l'amore come fonte di energia, spinta per affrontare le sfide quotidiane. In questa atmosfera di ode all'amata, l'ultima strofa propone un'interessante ma poco sviluppata similitudine con Adamo ed Eva o quantomeno un ritorno in un contesto quasi primordiale. La strofa accenna a un diventare ingenui quando si è innamorati. Temi che forse andrebbero approfonditi e sviluppati maggiormente.
“ Le mie prigioni”, già pubblicata nel 2008 dai Red Ska e qui riproposta nella versione originale, parla dell'omonimo romanzo di Silvio Pellico. In questo brano c'è un contrasto forte fra il testo molto duro e profondo e la musica che se non proprio allegra è sicuramente ritmata e leggera. Rischiando di essere fuori luogo, azzarderei una similitudine fra questo brano e “La ballata di Michè” di F. De Andrè accomunate dal contrasto fra testo e musica.
Molto bella “Revolver” che ricorda una canzone di Zucchero per l'utilizzo dell'organo Hammond che addolcisce e dà energia al contesto musicale. In questo brano è la musica che serve la musica, vera chiave e bellezza di questo brano.
“Uomini liberi” è un brano che non raggiunge le aspettative. Le premesse sono buone, ottime: una canzone di critica al progresso sfrenato se non necessaria, è quantomeno d'attualità. La canzone, tuttavia, sembra avvicinarsi all'argomento, ci viaggia attorno senza attraversarlo, spolparlo, assaporarlo.
“Miranda” è musicalmente molto sciolta, scorrevole, piacevole. Una canzone d'amore sul fatto di perdere la testa in amore.
In “Mettiti qualcosa di più comodo” il binomio musica-testo si esprime in maniera scanzonata, quasi ingenua, allegra, assuefatta per parlare di un di un tema, anche qui, molto attuale: l'apparire.
“Resto qui” è una canzone buona, pacata, non eccessiva che parla di chi, per chi, non si accontenta dello scorrere della vita così com'è senza cambiarla.
In “Due Come Noi” la dolcezza della voce di Naomi Sindona dà il pieno compimento a questo duetto che parla dell'amore e non, cioè d'amore infantile, fiabesco.
“L'equilibrio” è una canzone indubbiamente interessante: musicalmente calma, dolce, quasi rassegnata. Davvero interessante. L'autore ci dice che non bisogna mai cedere alla negatività. La voce qui si esprime in un perfetto equilibrio con la musica in un rapporto che oserei definire simbiotico.
Voto:6,5 -
recensione Zanca
“Rebelde”, prima canzone dell'album, che viene dedicata alle rivoluzioni dell'America latina, non crea l'atmosfera sud-americana a cui sembra tendere, rimane troppo nel bacino mediterraneo con sonorità non propriamente spagnoleggianti anche se indubbiamente etniche.
“Adesso”, prima canzone d'amore dell'album, ti avvolge subito con il suo ritmo reggae che dà un buon colore al testo che canta l'amore come fonte di energia, spinta per affrontare le sfide quotidiane. In questa atmosfera di ode all'amata, l'ultima strofa propone un'interessante ma poco sviluppata similitudine con Adamo ed Eva o quantomeno un ritorno in un contesto quasi primordiale. La strofa accenna a un diventare ingenui quando si è innamorati. Temi che forse andrebbero approfonditi e sviluppati maggiormente.
“ Le mie prigioni”, già pubblicata nel 2008 dai Red Ska e qui riproposta nella versione originale, parla dell'omonimo romanzo di Silvio Pellico. In questo brano c'è un contrasto forte fra il testo molto duro e profondo e la musica che se non proprio allegra è sicuramente ritmata e leggera. Rischiando di essere fuori luogo, azzarderei una similitudine fra questo brano e “La ballata di Michè” di F. De Andrè accomunate dal contrasto fra testo e musica.
Molto bella “Revolver” che ricorda una canzone di Zucchero per l'utilizzo dell'organo Hammond che addolcisce e dà energia al contesto musicale. In questo brano è la musica che serve la musica, vera chiave e bellezza di questo brano.
“Uomini liberi” è un brano che non raggiunge le aspettative. Le premesse sono buone, ottime: una canzone di critica al progresso sfrenato se non necessaria, è quantomeno d'attualità. La canzone, tuttavia, sembra avvicinarsi all'argomento, ci viaggia attorno senza attraversarlo, spolparlo, assaporarlo.
“Miranda” è musicalmente molto sciolta, scorrevole, piacevole. Una canzone d'amore sul fatto di perdere la testa in amore.
In “Mettiti qualcosa di più comodo” il binomio musica-testo si esprime in maniera scanzonata, quasi ingenua, allegra, assuefatta per parlare di un di un tema, anche qui, molto attuale: l'apparire.
“Resto qui” è una canzone buona, pacata, non eccessiva che parla di chi, per chi, non si accontenta dello scorrere della vita così com'è senza cambiarla.
In “Due Come Noi” la dolcezza della voce di Naomi Sindona dà il pieno compimento a questo duetto che parla dell'amore e non, cioè d'amore infantile, fiabesco.
“L'equilibrio” è una canzone indubbiamente interessante: musicalmente calma, dolce, quasi rassegnata. Davvero interessante. L'autore ci dice che non bisogna mai cedere alla negatività. La voce qui si esprime in un perfetto equilibrio con la musica in un rapporto che oserei definire simbiotico.
Voto:6,5 -
recensione Zanca
Padrini - StarWars
Questo primo full lenght dei cagliaritani Padrini, prodotto dalla neonata etichetta sarda Snatch Records, fila liscio come l’olio. I ragazzi ci sanno fare, la registrazione è ottima e sanno far divertire. Ma una domanda sorge spontanea: E' possibile nel 2009 produrre dell'hardcore melodico senza cadere nel banale o farsi fortemente influenzare dalle sonorità californiane? Impresa ardua, ma i Padrini ci provano lo stesso. Ormai lo si sa, essere originali è difficile, le influenze si sentono eccome:
Nofx, No use For a Name, Lagwagon sono solo alcuni dei nomi noti a cui è inevitabile ricollegarsi.
Tuttavia, ascoltando “Star Wars” si viene catapultati in California, si è rapiti da una gran voglia di divertimento e per un attimo, i problemi della quotidianità vengono accantonati.
Il disco si apre con Tattoo Song, melodicamente impeccabile: i riff di basso accompagnano una batteria costante, dalle innumerevoli rullate e cambi di ritmo. Peccato per il testo tipicamente demenziale (v.d. Fichissimi)
Si passa quindi a Basalto, classica canzone punk rock molto lineare per poi giungere a L.C.S Punk le cui sonorità richiamano il Lars Frederiksen dei tempi migliori. Peccato per la pronuncia dell’inglese, alquanto lacunosa e maccheronica.
Si giunge quindi a Scooter e ad Instabile, quest’ultima dall’intro “caciarone” per poi arrivare a Miki Lovesong, a mio parere una delle migliori dell’album.
Gioellino pop punk, ascoltandola è facile innamorarsene : gli arpeggi iniziali con i riff di basso(tipicamente alla Mark Hoppus =si ascolti Baby come on dei Plus 44) combaciano alla perfezione, la batteria entra perfettamente in sintonia col cantato, alquanto struggente e malinconico.
Da qui in poi si susseguono Riga Storta, Spank (Scacciano) e La mia Ragazza, quest’ultima dal testo banale ed adolescenziale, sorretta solamente dai riff puliti di basso e dagli ultimi secondi di canzone, dove i ragazzi fanno sentire tutta la loro voglia di divertirsi.
Si conclude con “Where is my mind” (cover dei Pixies), molto carina dal punto di vista musicale ma pessima dal punto di vista linguistico (l’inglese non fa per loro), Il Fan dei Padrini e Tarantooledoo, traccia veloce, dritta, spinta e puramente hardcore di stampo newyorkese.
Che dire quindi di questi Padrini?
Il cd viaggia parecchio, scorre veloce, è l’ideale per chi già ama questo genere e ha bisogno di nuovi stimoli. Non ci si aspetti l’originalità, sa di già sentito. Tuttavia ne consiglio vivamente l’ascolto, ci sono delle traccie in cui traspare una forte personalità.
È un album fresco, divertente e tecnicamente ottimo.
Voto: 7
Influenze: Nofx, Pennywise, Lagwagon, Propagandhi
è simile a: Actionmen, Beerbong, Stupid Family, Why Not Loser
recensione Zanca
Nofx, No use For a Name, Lagwagon sono solo alcuni dei nomi noti a cui è inevitabile ricollegarsi.
Tuttavia, ascoltando “Star Wars” si viene catapultati in California, si è rapiti da una gran voglia di divertimento e per un attimo, i problemi della quotidianità vengono accantonati.
Il disco si apre con Tattoo Song, melodicamente impeccabile: i riff di basso accompagnano una batteria costante, dalle innumerevoli rullate e cambi di ritmo. Peccato per il testo tipicamente demenziale (v.d. Fichissimi)
Si passa quindi a Basalto, classica canzone punk rock molto lineare per poi giungere a L.C.S Punk le cui sonorità richiamano il Lars Frederiksen dei tempi migliori. Peccato per la pronuncia dell’inglese, alquanto lacunosa e maccheronica.
Si giunge quindi a Scooter e ad Instabile, quest’ultima dall’intro “caciarone” per poi arrivare a Miki Lovesong, a mio parere una delle migliori dell’album.
Gioellino pop punk, ascoltandola è facile innamorarsene : gli arpeggi iniziali con i riff di basso(tipicamente alla Mark Hoppus =si ascolti Baby come on dei Plus 44) combaciano alla perfezione, la batteria entra perfettamente in sintonia col cantato, alquanto struggente e malinconico.
Da qui in poi si susseguono Riga Storta, Spank (Scacciano) e La mia Ragazza, quest’ultima dal testo banale ed adolescenziale, sorretta solamente dai riff puliti di basso e dagli ultimi secondi di canzone, dove i ragazzi fanno sentire tutta la loro voglia di divertirsi.
Si conclude con “Where is my mind” (cover dei Pixies), molto carina dal punto di vista musicale ma pessima dal punto di vista linguistico (l’inglese non fa per loro), Il Fan dei Padrini e Tarantooledoo, traccia veloce, dritta, spinta e puramente hardcore di stampo newyorkese.
Che dire quindi di questi Padrini?
Il cd viaggia parecchio, scorre veloce, è l’ideale per chi già ama questo genere e ha bisogno di nuovi stimoli. Non ci si aspetti l’originalità, sa di già sentito. Tuttavia ne consiglio vivamente l’ascolto, ci sono delle traccie in cui traspare una forte personalità.
È un album fresco, divertente e tecnicamente ottimo.
Voto: 7
Influenze: Nofx, Pennywise, Lagwagon, Propagandhi
è simile a: Actionmen, Beerbong, Stupid Family, Why Not Loser
recensione Zanca
Paolo Spaccamonti - 11 pezzi facili
Qualche artista ogni tanto osa fare qualcosa di diverso e ci riesce bene.Paolo Spaccamonti presenta un album completamente strumentale e quasi totalmente suonato dal lui. Il risultato è notevole : gli 11 pezzi facili sono composti ed eseguiti in modo intelligente ed impeccabile. L'album non non è mai noioso ne mai borioso (rischio che di solito corrono i chitarristi...). Il disco è potente, a volte acido, quasi ossessivo in "camicia gialla cravatta nera", "drones", "vertigo". Diventa + elegante ed introverso alla "fine della fiera", e cinematografico in "tex" e "spy movie". Assolutamente consigliato.http://www.myspace.com/paolospaccamonti.
Voto 7,5
recensione Complotto