I Godspeed You! Black Emperor sono tornati. Divisosi senza rilasciare spiegazioni (c'è chi dice per protesta contro la guerra in Iraq) nel 2003, lo storico gruppo post-rock sperimentale canadese si è riunito alla fine del 2010 per curare l'edizione invernale dell'All Tomorrow's Party e poi intraprendere un tour mondiale, che fa tappa in Italia prima a Bologna e poi a Milano. La data dell'Estragon è quindi la prima esibizione dei Godspeed You! Black Emperor dopo sette anni e l'affluenza di pubblico non tradisce le aspettative: se non è sold-out poco ci manca.
L'arduo compito di aprire il concerto è affidato al sassofonista americano Colin Stetson, noto ai più per aver collaborato con un gran numero di artisti di grande rilievo nel panorama più o meno indie, tra cui di sicuro spiccano gli Arcade Fire. La performance è incredibile: suona per mezz'ora piena, prendendo fiato solo cinque o sei volte, alternandosi tra un sassofono di dimensione standard e uno grande quasi quanto lui, creando, solo con fiato, labbra e lingua, groove e tappeti sonori incredibili. Malgrado la scarsa accessibilità delle divagazioni avant-jazz dell'artista, che annoiano facilmente, gli applausi sono calorosi e la timidezza degli esausti ringraziamenti di Stetson non fanno altro che aumentare il battimani. È sicuramente stata una scelta azzeccata l'idea di far aprire lo spettacolo a Stetson, tanto prodigioso quanto inacessibile, che rispecchia in pieno l'eccentricità che da sempre ha circondato il nome dei Godspeed You! Black Emperor.
Neanche il tempo di portare fuori i due sassofoni e parte il drone di apertura di “The Dead Flag Blues” (prima traccia del primo album dei GY!BE), che durerà mezz'ora buona, ininterrotto, mentre uno alla volta e con tutta la calma del mondo (e sempre coperti da applausi interminabili) entrano gli otto protagonisti della serata (tre chitarristi, una violinista, due bassisti e due batteristi) e, mentre la scritta “hope” è proiettata con intermittenza alle loro spalle, in una fitta trama di droni, feedback assordanti, archi e percussioni, danno vita alla cosiddetta “Hope Drone”, pezzo mai rilasciato che da il via alla performance dei Godspeed You! Black Emperor. Da qui fino alla fine dello spettacolo i brividi e le emozioni non si sprecheranno.
“Hope Drone” si mischia poi con “Albanian”, trascinata dalla melodia gitana della violinista, mentre tutti i membri della band hanno imbracciato il loro strumento canonico e si sono disposti a semicerchio sul palco. I tre chitarristi sono pure seduti, mentre il pubblico non sa che dovrà soffrire per due ore e un quarto in piedi immobile (sarebbe stata più apprezzata la scelta di tenere il concerto in un teatro o in un auditorium, con posti a sedere). Certo la sofferenza alle gambe è stata forse necessaria per non generare mai un calo d'attenzione, perché più di due ore di musica solamente strumentale, per quanto intensa e sovrumana essa sia, fanno un po' volare la testa tra le nuvole.
Poi parte “Storm”, il capolavoro incontrastato dei Godspeed You! Black Emperor e di tutto il post-rock passato, presente e, con ogni probabilità, futuro. I maestosi venti minuti che traghettano dalla primordiale pace dei sensi agli apocalittici incubi di cui è fatto il brano sono l'esperienza musicale definitiva e rendono futile qualsiasi parola usata per descriverli. In particolare durante la parte della composizione intitolata “Gathering Storm”, la mente non controlla più il corpo che viaggia cullato dai dolci arpeggi e scatta alle minacciose cavalcate di batteria accompagnate dall'intercedere martellante dei bassi, finché il sogno/incubo ad occhi aperti è finito e ci si può godere il resto del concerto, pur consapevoli di aver già assistito all'apice dell'esibizione.
Senza mai proferire parola i GY!BE continuano imperterriti l'esecuzione dei loro brani, con l'acustica dell'Estragon in stato di grazia che rende ogni singolo strumento udibile alla perfezione, accompagnati dalle immagini (proiettate da due veri proiettori di pellicole, come ai vecchi tempi) che si mescolano tra loro e si sovrappongono anche alla band e agli strumenti creando un connubio dei sensi perfetto per vista e udito.
Nel corso dell'esibizione la band sfodera “Gamelan”, la maestosa “Rockets Fall On Rocket Falls” ed eseguisce per intero l'EP “Slow Riot For Zerø Kanada”, con le due suite “BBF3” e la meravigliosa “Moya”, ma è l'album “Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven” a fare la parte del protagonista della serata: oltre alla già citata “Storm”, i GY!BE regalano altre due suite estratte dal disco.
Storm, introdotta dalla voce registrata di un predicatore dalle mortifere parole, ha il suo culmine nella parte intitolata “World Police And Friendly Fire”: un'apocalisse bellica che getta l'ascoltatore in pasto alle fiamme, mentre lo stesso stage sembra andare a fuoco, grazie alle sempre ottime e azzeccate proiezioni. “Sleep” è una salita sonica di un quarto d'ora che esplode di potenza nella cavalcata finale: un vero peccato che sia stata eseguita solo “Monheim”, la prima parte della suite, e non la seconda, “Broken Windows, Locks Of Love”, uno dei loro migliori pezzi e senza dubbio il più emozionante.
L'esibizione si conclude “East Hasting”, l'unico brano estratto dal disco d'esordio “F# A# ∞”, i cui dolci arpeggi conducono infine alla melodia mortale degli archi che, accompagnati da tutta la band che suona indiavolata, chiudono il concerto. I Godspeed You! Black Emperor escono dal palco, uno ad uno, così come erano entrati, senza aver mai detto una sola parola durante tutta la serata, senza nemmeno un gesto verso il pubblico, se non fosse per il cenno di saluto rivolto alla platea dall'ultimo membro ad abbandonare il palco. Quell'unico e isolato gesto umano non fa altro che aumentare gli scroscianti applausi che concludono la reunion dei Godspeed You! Black Emperor, evento destinato a restare impresso a fuoco nella memoria per anni.
Recensione a cura di Giacomo Falcon.
Progetto Felix.