Voto: 7
Mr. Milk, cantautore folk campano, suona dal 2005 perché, come scrive nella sua bio “inadeguato per forma e spirito ai suoi sogni, si arrende alla sua natura,e si ritrova a scrivere canzoni”. Ed è proprio questa inadeguatezza che ci regala 12 scorci di vita quotidiana raccontati in punta di piedi. Un pianoforte in Cardinal Legs e il resto dei brani scorrono tra arpeggi di chitarra e versi narrati a bassa voce, quasi sussurrati per dare la giusta atmosfera alla poesia dei testi. Riporta alla mente cantautori come Nick Drake e Bob Corn o il più recente Alexi Murdoch o l'italiano Paolo Saporiti. Materiale sul genere ce n'è a volontà, ma Mr Milk merita di essere portato all'attenzione degli amanti del genere e non. Begli arrangiamenti, bella voce, bel disco.
Voto: 7
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Cattive Abitudini: “Gemini 1”
A tre anni di distanza da “Cosa sei disposto a perdere?” tornano le Cattive Abitudini con il loro ultimo lavoro “Gemini 1”. I fan del gruppo stiano tranquilli: Il cd ricalca il sound ormai collaudato del quartetto veneto e non tradirà le loro aspettative. Tuttavia niente di nuovo all’orizzonte, il solito punk rock scanzonato e divertente, condito da liriche goliardiche votate perlopiù al dio bacco. Fin da “Tutto fa parte di noi” l’alcol è stato un fedele compagno di viaggio della band ed in “Gemini 1” non potevano non esserci tracce dedicate a questo tema. “Oktoberfest” trascina l’ascoltatore nell’atmosfera festaiola della celebre manifestazione, “Backstage” descrive appieno i momenti di baldoria tipici del dietro le quinte, “Signorina Sambuca” è un elogio al noto liquore. Questo ripetersi concettuale non attribuisce però originalità al lavoro. Il gruppo sembra infatti non riuscire a staccarsi dai soliti temi conferendo alla produzione un andamento monotematico. Il cd è un susseguirsi di luoghi comuni e testi prettamente adolescenziali, ben disposti ad essere canticchiati da un pubblico under 20, ma niente più. Non si riesce a parlar di maturità o di evoluzione del sound. Tanto di cappello alla coerenza del gruppo, che da anni(nonostante critiche e detrattori) continua a girare la penisola portando alle masse un genere ormai(ahimè) poco considerato dalle major. Che dire quindi di quest’ultima fatica del quartetto veneto? Divertente, allegro e ben votato a serate goderecce, piacerà parecchio agli sbarbatelli ed ancora di più ai fan d’oltredata. Un po’ meno a coloro i quali il flower punk made in Italy dei 90’s ha decisamente rotto le scatole. Ad ogni modo, Le Cattive Abitudini sono così: prendere o lasciare. Voto: 6 Best Track= Storie senza età Loris Tomasella Terza data in Veneto per i riuniti Massimo Volume, formazione italiana attiva da quasi un ventennio, difficilmente inquadrabile in un genere preciso, malgrado le molte similitudini con il post rock; particolarità della band è il cantato totalmente assente, sostituito invece dagli splendidi testi recitati dal leader del gruppo Mimì. Dopo aver influenzato come pochi altri la scena indipendente nostrana con album come “Stanze” e “Lungo i Bordi”, i Massimo Volume si sono fermati al quarto disco alla fine degli anni Novanta e sono rimasti inattivi sino a pochi anni fa. Il 2010 è l'anno del ritorno ufficiale sulle scene: con l'album “Cattive Abitudini”, assolutamente uno degli episodi migliori della discografia, i Massimo Volume tornano a far parlare di loro.
L'Unwound di Padova è quasi completamente gremito da gente delle età più disparate: si va da i fan della vecchia guardia ai più giovani che sono lì per vederli per la prima volta. Il locale è saturo di fumogeni e non si riesce a vedere a un palmo dal naso, fino a quando la nebbia di dirada e sul palco appaiono i tre membri storici dei Massimo Volume accompagnati dal nuovo acquisto Stefano Pilia. La serata, come risaputo dai fan più accaniti, non è impostata per riservare sorprese: la scaletta del concerto ricalca alla perfezione la tracklist dell'ultimo album. Tuttavia il risultato è incredibile: le ottime reazioni di pubblico ottenute in molti brani li fanno sembrare pezzi storici della band, la partecipazione all'esecuzione pezzi è altissima e pezzi come “Litio” e “Fausto” vengono accolti come se fossero vecchi successi. Le chitarre tessono trame fittissime e spesso violente di suoni, mentre Mimì suona sicuro il basso recitando senza nessun problema (tranne una piccola e passabilissima dimenticanza a un certo punto) i suoi lunghi e complessi testi. Usciti dal palco e richiamati a gran voce dal pubblico, i Massimo Volume tornano per le encores, dedicate ai vecchi successi, eseguiti con energica nostalgia, mentre l'acustica dell'Unwound assale coinvolgente gli spettatori facendosi beffe delle assurde restrizioni recentemente emesse dal Comune di Padova (e lacerandomi un timpano, visto che arrivo a trovarmi praticamente con l'orecchio attaccato alla cassa). La band esce dal palco tra le ovazioni generali e il concerto si chiude con la bellissima immagine di Mimì che stringe la mano e regala il suo plettro a un ragazzino che si era scalmanato durante tutta l'esibizione. Recensione a cura di Giacomo Falcon Progetto Felix Il deposito che stasera ospita il concerto dei Casualties è quello delle grandi occasioni, non solo per
l'importanza che il gruppo newyorkese riveste nel panorama Punk-Hardcore mondiale, ma soprattutto per l'eco mediatico che un simile evento scatena nel panorama musicale friulano. Il gran numero di persone accorse (anche da fuori regione) testimonia la portata dell'evento ed evidenzia l'apprezzamento verso un gruppo storico che da più di vent'anni è il portabandiera di un preciso modo di suonare e divertirsi. La serata inizia attorno alle 21.45, quando sul palco salgono i nostrani Atti Osceni, irriverenti nel nome, quanto nella proposta offerta ai pochi presenti. Un punk-crust che molto deve a gruppi quali Skrugners e Assalti Frontali, influenzato dal punk stile Rancid e dagli italiani Porno Riviste. I testi (davvero poco comprensibili) sputano rabbia e dolore, finendo col rendere lo show generale davvero poco gradevole e interessante. Le sirene della polizia anticipano l'ingresso in scena del secondo gruppo: gli Smart Cops, davvero bravi nell'intrattenere il pubblico fin dai primi pezzi. Punk Rock veloce e tagliente, che stupisce per precisione e velocità, e che rende la performance dei 4 dinamica e coinvolgente. Il gruppo veneziano è abile nel amalgamare sapientemente suoni tipici del punk più moderno (Thee Stp, Peawees, Queers) al rock'n'roll di vecchia data, stile Jerry Lee Lewis. In generale gruppo apprezzato e pubblico acceso a sufficenza per l'entrata dei veri e propri matatori della serata: The Casualties. Lo spirito aggressivo e ribelle dei 4 emerge con forza e veemenza fin dalle note iniziali, spazzando via ogni dubbio circa lo stato di forma della band, abile nel coivolgere il pubblico nel suo vortice fatto di Punk Hardcore Metal, grazie anche alla potente voce dello storico cantante Jorge Herrera. La sua graffiante voce si staglia sui presenti in tutta la sua irruenza e crudeltà, rinforzando la carica espressiva che il gruppo trasmette al pubblico. La più che ventennale carriera del gruppo emerge grazie ad un impatto esplosivo e ad una potenza scenica impressionanti, accompagnati spesso da un sing along potente e a tratti emozionante. Lo street punk mescolato all Hardcore vecchia scuola vengono proposti in tutta la loro carica e irruenza, dimostrando la taratura del gruppo e consacrandolo all'olimpo della scena Punk mondiale. Le canzoni proposte percorrono l'onarata carriera di una band con ben 8 dischi e 3 Ep all'attivo, usciti a partire dal 1992, fino all'ultimo e acclamato We Are All We Have, rendendo la performance dinamica ed eterogeneamente variegata. Tra i pezzi spiccano per energia e violenza la potente “Stand against them all”, l'intramontabile “Looking thru bloodshot eyes” e la sempreverde “Without warning”, durante la quale il pubblico da inizio ad un spettacolare circle pit che coinvolge quasti tutti i presenti. La chusura è affidata alle suggestive “Heart bleeds black”, “Control de la prensa” e all'immancabile cover dei Ramones “Blitzkrieg bop”, durante la quale una grossa folla sale sul palco e canta a squarciagola le parole dell'inno per eccellenza del Punk anni '70. Concludendo, la serata ha registrato un successo non solo per i Punk kids accorsi numerosi ad acclamare i loro idoli adolescenziali, ma soprattutto ha offerto a tutti i presenti un gruppo in ottima salute che nonostante gli anni, le correnti e le mode, riesce ancora ad emozionare e trasmettere una carica e una potenza che oggi raramente si vedono sul palco. E' una Trieste fredda e austera quella che stasera ospita il concerto degli Amia Venera
Landscape e anche se non soffia la bora, il clima non è certo dei più desiderabili. L'ultima data del loro Tour italiano, che li ha visti attraversare recentemente la penisola in lungo e in largo, si tiene al Tetris, piccolo ma accogliente locale situato non molto distante dalla suggestiva cornice di Piazza Unità. Essendo una data infrasettimanale, l'apertura è prevista verso le 21, ed infatti dopo una birra e quattro chiacchere veloci, ecco che sul palco salgono gli Innervacuum, giovane promessa del metalcore friulano. I 5 giovani dimostrano fin da subito il loro potenziale sul palco, proponendo una scaletta violenta al fulmicotone, in cui le chitarre ben si amalgamano con il tessuto metal e hardcore del gruppo. I suoni non troppo definiti e i pezzi molte volte strutturalmente carenti, mancano di originalità e personalità, finendo col appesantire inutilmente il suono e rendendo scontata e prevedibile la performance. Verso le 22.30 apre le danze il gruppo headliner della serata. Preceduti da un intro che cattura il pubblico e lo trascina verso le atmosfere tipiche del sestetto veneto, ecco che il viaggio ha inizio. L'impasto sonoro formato da tre chitarre, che sorreggono una sezione ritmica già di per sé potente, viene ulteriormente arricchito dalla voce graffiante del cantante, simile per tonalità ed attitudine al vocalist dei Misery Signals e a quello dei Cult Of Luna. La set list comprende prevalentemente brani usciti nel nuovo disco, anche se alcuni pezzi risalgono a molto tempo prima. Sono inoltre presenti nuove canzoni che si discostano lievemente dalla proposta originaria, ma che non faticano a trovare fin da subito l'approvazione dei presenti, che dopo qualche minuto dall'inizio del concerto iniziano a muoversi e dimenarsi energicamente, sostenuti dal calore e dall'energia che il gruppo trasmette dal palco. La coreografia scenica permette alla band di regalare un impatto visuale ed estetico travolgente che, unito al suono caldo e dirompente dei sei, completa ed arricchisce lo spettacolo generale. Si ha come l'impressione di un paesaggio, costituito da atmosfere surreali, in costante evoluzione che segue e supporta la performance del gruppo, offrendo ai presenti un'esperienza coinvolgente e fortemente emotiva. Un'ora scarsa di concerto che se da un lato appaga il numeroso pubblico accorso per questa data, dall'altro testimonia come nel sottobosco musicale italiano continuano ad emergere ed affermarsi giovani formazioni che per talento e originalità meriterebbero più spazio e attenzione, in modo da promuovere e sostenere adeguatamente il loro potenziale, molte volte ancora inespresso. The Banditi - Achtung!
I The Banditi sono un gruppo che punta molto sulla sua incisività, sulla sua decisione e riceve influenze da diversi mondi musicali come l'elettronica, ma anche la musica balcanica popolare e orientale. Queste influenze però risultano mal sfruttate perchè spesso spezzate dalla volontà di far prevalere una cattiveria di suoni molto incisivi. Se si perseguisse una fusione totale con le tali influenze, ne risulterebbe un disco molto più unico e particolare. Spesso capita che all'interno dei brani la parte di maggiore interesse, o di maggiore rilievo, che potrebbe condurre a uno sviluppo interessante, è proprio l'introduzione, dove si assaporano gusti orientali e computerizzati. Le tracce che colpiscono maggiormente sono "Zero" e "Se ti accontenti ti penti". La prima è sicuramente un brano di impatto dalla strofa al ritornello, variabili comprese, eccetto per l'inserimento di quelle voci a metà tra sogno e sortilegio, troppo fuori contesto; per il resto i The Banditi riescono a dare una buona pacca nell'evoluzione del brano con un testo che parla di oppressione, esclusione e illusione. "Se ti accontenti ti penti" è sicuramente il brano con più potenziale di tutto il disco anche se la fusione con le influenze elettroniche a metà tra Moby e Battiato dovrebbe essere sfruttata meglio, senza distacchi netti, mantenendo magari un tappeto di suoni durante tutto il brano, per sostenere maggiormente il pezzo. L'interpretazione vocale del cantante appare spesso forzata, fin troppo costruita; meglio gli interventi della cantante, che riesce ad inserirsi in modo vincente e convincente nel contesto musicale, trovando ogni volta il modo migliore per esprimersi senza forzature. Voto: 5 Michelangelo Vittorio Adeo Zardini The Storylines è il progetto mutevole di Enrico Facca, Fabrizio Cossutta, Antonio Corazza e Federico Babbo (noto anche per il progetto solista Jackeyed), quattro ragazzi di Pordenone. Dopo vari cambi di genere e di sound, nel 2009 pubblicano i primi due EP per l'etichetta Megaphone, fondata da loro e dai Threatcon Charlie, altro gruppo pordenonese. Nel 2010 esce il primo full-lenght sia degli Storylines che di Jackeyed e, con Fabrizio in Portogallo e Federico impegnato con il suo progetto solista, Enrico e Antonio, accompagnati da alcuni membri dei Threatcon Charlie, partono senza gli altri Storylines nelle date di promozione del loro “June Leaves”.
All'alba del 2011, anche in vista delle date europee della band, i quattro Storylines tornano a suonare dal vivo insieme per la prima volta dal settembre del 2009, accompagnati questa volta dall'eccellente batterista Federico Piccin, che aveva già partecipato alla realizzazione dell'album di Jackeyed e del brano “SP1” degli stessi Storylines. Dopo il visual-set di The Keypattern, in un'Edera ingiustamente non troppo affollata, inizia l'esibizione degli Storylines, che comincia con la delicatissima “Pond”, mentre uno ad uno tutti i membri della band salgono sul palco. Con il secondo pezzo della serata, “Your Eyes Are Rifles”, ci si accorge subito dell'enorme salto di qualità che il gruppo compie quando suonano tutti e quattro insieme: alla genuinità e all'affiatamento delle prime esibizioni si unisce la professionalità acquisita durante i concerti dell'ultimo anno e i due membri appena tornati fanno capire cosa ci si perdeva in loro assenza. Ad accompagnare i mirabolanti arpeggi e il mesto cantato di Enrico, oltre alle decise linee di basso di Antonio, abbiamo finalmente la decisa chitarra di Fabrizio che graffia di lo-fi lo spirito folk e pop delle canzoni e, nelle retrovie, circondato da sintetizzatori e drum machine, troviamo Federico che dirige il sound della band, farcendolo con quel pizzico di elettronica che ha sempre accompagnato gli Storylines. A coronare il tutto c'è l'altro Federico le cui notevoli parti di batteria si amalgamano subito perfettamente al suono degli altri ragazzi. Quando però i membri della band si scambiano i ruoli abbiamo i momenti più emozionanti dell'esibizione. “Pink Star”, cantata a turno da Corazza, Facca e Babbo, parte come una dolcissima ninnananna e termina con una disperata e maestosa scarica di post rock. “SP1”, con i synth di Antonio e Fabrizio pronti a far tremare il locale, con il cantato limpido e sofferto di Federico e con la nuova e azzeccatissima parte di chitarra di Enrico, è sicuramente (ancora una volta) il pezzo migliore della serata. “Beatone”, che come sempre ha il ruolo di chiudere l'esibizione, vede invece Facca, Babbo e Piccin che si accaniscono su rullanti, timpani, pelli e piatti con una presenza scenica quasi ipnotica e un ritmo travolgente, mentre l'ambiente è riempito dalle note di Corazza e Cossutta, in un vortice di post rock e noise. Si conclude così l'ottima esibizione degli Storylines, un gruppo che può dare ancora tanto e a cui auguriamo di arrivare lontano. Recensione a cura di Giacomo Falcon. Progetto Felix. In occasione del loro debutto discografico, gli A Cold Dead Body presentano ufficialmente stasera il loro nuovo disco “Harvest Year”, pubblicato dall'etichetta italiana Frohike e da quella russa Slowburn records. Nonostante la location scelta abbia provocato più di un grattacapo a tutti coloro che non venivano da zone limitrofe a quella Udinese, l'affluenza è stata ottimale già a partire dalle prime ore serali. Si inizia verso le 22.45 con i milanesi Three Steps To The Ocean, compagni di etichetta degli A.C.D.B., i quali propongono un live set molto intenso e di pregevole fattura, strumentalmente devoto al post rock più moderno (This Will Destroy You, God Is An Astronaut), che non disdegna l'uso di campionatori ed effetti elettronici. I pezzi proposti sono tutti tratti dal loro primo disco ufficiale “Until Today Becomes Yesterday”, uscito nell'ottobre 2009. L'abilità del quartetto emerge soprattutto dall'ottima convergenza di stili e influenze, con alcune sfrerzate post-metal di matrice Cult of Luna (e dei mai dimenticati Isis) sapientemente intervallate da parti maggiormente atmosferiche e introspettive. Il tempo di un breve cambio palco e verso mezzanotte ecco apparire sul palco i veri protagonisti della serata. Dopo un intro dai tratti solfurei e quasi surreali, introdotti dalle tonalità insolite del corno, il set ricalca fedelmente i brani presenti sul disco, enfatizzati dalla voce di Stefano (un misto tra Depeche Mode e The National) che personalizza e rende inconfondibile il sound dei quattro musicisti. Brani come “The Chosen Ones”, “Collapse”e “Zero” testimoniano l'abilità creativa e compositiva del gruppo, catturando al contempo l'attenzione del pubblico e risultando mai banali e prevedibili. La compattezza e precisione dimostrate confermano lo stato di grazia del quartetto (da tempo in lavorazione in vista del concerto), che abilmente si muove tra le sonorità ambient e atmosferiche, introducento anche parti più rock e dinamiche. Il pubblico sembra gradire, e dopo un inizio in sordina, le prime file iniziano ad acclamare il gruppo sul palco, generando un formidabile colpo d'occhio. Nota positiva: l'utilizzo delle luci incrementano durante tutto lo spettacolo l'effetto “sognante” della band, alternando dinamicamente colori vivi ed accesi, uniti ad un impasto cromatico dove le componenti blu e verdi fanno da padrone. La chiusura è affidata ad “Infinity” che suona come un arrivederci e che dimostra (se ancora fosse rimasto qualche dubbio) come gli A Cold Dead Body con questo ultimo lavoro abbiano affinato la loro tecnica e il loro stile, evolvendo la loro proposta e lasciando intravedere promettenti sviluppi futuri. AU REVOIR Godspeed You! Black Emperor live @ Estragon, Bologna, 26 Gennaio 2011. Opening: Colin Stetson.
I Godspeed You! Black Emperor sono tornati. Divisosi senza rilasciare spiegazioni (c'è chi dice per protesta contro la guerra in Iraq) nel 2003, lo storico gruppo post-rock sperimentale canadese si è riunito alla fine del 2010 per curare l'edizione invernale dell'All Tomorrow's Party e poi intraprendere un tour mondiale, che fa tappa in Italia prima a Bologna e poi a Milano. La data dell'Estragon è quindi la prima esibizione dei Godspeed You! Black Emperor dopo sette anni e l'affluenza di pubblico non tradisce le aspettative: se non è sold-out poco ci manca. L'arduo compito di aprire il concerto è affidato al sassofonista americano Colin Stetson, noto ai più per aver collaborato con un gran numero di artisti di grande rilievo nel panorama più o meno indie, tra cui di sicuro spiccano gli Arcade Fire. La performance è incredibile: suona per mezz'ora piena, prendendo fiato solo cinque o sei volte, alternandosi tra un sassofono di dimensione standard e uno grande quasi quanto lui, creando, solo con fiato, labbra e lingua, groove e tappeti sonori incredibili. Malgrado la scarsa accessibilità delle divagazioni avant-jazz dell'artista, che annoiano facilmente, gli applausi sono calorosi e la timidezza degli esausti ringraziamenti di Stetson non fanno altro che aumentare il battimani. È sicuramente stata una scelta azzeccata l'idea di far aprire lo spettacolo a Stetson, tanto prodigioso quanto inacessibile, che rispecchia in pieno l'eccentricità che da sempre ha circondato il nome dei Godspeed You! Black Emperor. Neanche il tempo di portare fuori i due sassofoni e parte il drone di apertura di “The Dead Flag Blues” (prima traccia del primo album dei GY!BE), che durerà mezz'ora buona, ininterrotto, mentre uno alla volta e con tutta la calma del mondo (e sempre coperti da applausi interminabili) entrano gli otto protagonisti della serata (tre chitarristi, una violinista, due bassisti e due batteristi) e, mentre la scritta “hope” è proiettata con intermittenza alle loro spalle, in una fitta trama di droni, feedback assordanti, archi e percussioni, danno vita alla cosiddetta “Hope Drone”, pezzo mai rilasciato che da il via alla performance dei Godspeed You! Black Emperor. Da qui fino alla fine dello spettacolo i brividi e le emozioni non si sprecheranno. “Hope Drone” si mischia poi con “Albanian”, trascinata dalla melodia gitana della violinista, mentre tutti i membri della band hanno imbracciato il loro strumento canonico e si sono disposti a semicerchio sul palco. I tre chitarristi sono pure seduti, mentre il pubblico non sa che dovrà soffrire per due ore e un quarto in piedi immobile (sarebbe stata più apprezzata la scelta di tenere il concerto in un teatro o in un auditorium, con posti a sedere). Certo la sofferenza alle gambe è stata forse necessaria per non generare mai un calo d'attenzione, perché più di due ore di musica solamente strumentale, per quanto intensa e sovrumana essa sia, fanno un po' volare la testa tra le nuvole. Poi parte “Storm”, il capolavoro incontrastato dei Godspeed You! Black Emperor e di tutto il post-rock passato, presente e, con ogni probabilità, futuro. I maestosi venti minuti che traghettano dalla primordiale pace dei sensi agli apocalittici incubi di cui è fatto il brano sono l'esperienza musicale definitiva e rendono futile qualsiasi parola usata per descriverli. In particolare durante la parte della composizione intitolata “Gathering Storm”, la mente non controlla più il corpo che viaggia cullato dai dolci arpeggi e scatta alle minacciose cavalcate di batteria accompagnate dall'intercedere martellante dei bassi, finché il sogno/incubo ad occhi aperti è finito e ci si può godere il resto del concerto, pur consapevoli di aver già assistito all'apice dell'esibizione. Senza mai proferire parola i GY!BE continuano imperterriti l'esecuzione dei loro brani, con l'acustica dell'Estragon in stato di grazia che rende ogni singolo strumento udibile alla perfezione, accompagnati dalle immagini (proiettate da due veri proiettori di pellicole, come ai vecchi tempi) che si mescolano tra loro e si sovrappongono anche alla band e agli strumenti creando un connubio dei sensi perfetto per vista e udito. Nel corso dell'esibizione la band sfodera “Gamelan”, la maestosa “Rockets Fall On Rocket Falls” ed eseguisce per intero l'EP “Slow Riot For Zerø Kanada”, con le due suite “BBF3” e la meravigliosa “Moya”, ma è l'album “Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven” a fare la parte del protagonista della serata: oltre alla già citata “Storm”, i GY!BE regalano altre due suite estratte dal disco. Storm, introdotta dalla voce registrata di un predicatore dalle mortifere parole, ha il suo culmine nella parte intitolata “World Police And Friendly Fire”: un'apocalisse bellica che getta l'ascoltatore in pasto alle fiamme, mentre lo stesso stage sembra andare a fuoco, grazie alle sempre ottime e azzeccate proiezioni. “Sleep” è una salita sonica di un quarto d'ora che esplode di potenza nella cavalcata finale: un vero peccato che sia stata eseguita solo “Monheim”, la prima parte della suite, e non la seconda, “Broken Windows, Locks Of Love”, uno dei loro migliori pezzi e senza dubbio il più emozionante. L'esibizione si conclude “East Hasting”, l'unico brano estratto dal disco d'esordio “F# A# ∞”, i cui dolci arpeggi conducono infine alla melodia mortale degli archi che, accompagnati da tutta la band che suona indiavolata, chiudono il concerto. I Godspeed You! Black Emperor escono dal palco, uno ad uno, così come erano entrati, senza aver mai detto una sola parola durante tutta la serata, senza nemmeno un gesto verso il pubblico, se non fosse per il cenno di saluto rivolto alla platea dall'ultimo membro ad abbandonare il palco. Quell'unico e isolato gesto umano non fa altro che aumentare gli scroscianti applausi che concludono la reunion dei Godspeed You! Black Emperor, evento destinato a restare impresso a fuoco nella memoria per anni. Recensione a cura di Giacomo Falcon. Progetto Felix. VANDERLEI
“L’inesatto” Non si direbbe ma questo è il loro primo album. Evidenti sono le influenze post rock, sperimentali, un genere spesso tentato ma non riuscito, però non è il loro caso. L’inesatto è un album dalle graffianti chitarre che alternano delicati arpeggi e che con i loro suoni diventando i muscoli dell’intero album. Ne “l’inesatto” e “pittori” vengono coinvolti anche i violini ad accentuare questa atmosfera repressa e angosciante presente in tutti i brani di questo lavoro. Un disco dalle idee chiare, con un messaggio forte e deciso. Riconosciuti come una delle migliori dieci band dell’Emilia Romagna, al MEI di Faenza. Prodotto da Paolo Benvegnù, “L’inesatto” è un album dai suoni decisamente coinvolgenti, trascinana l’ascoltatore dentro atmosfere malinconiche che accompagnano i testi introspettivi di questo disco. Finalmente un album con una sua propria personalità. Poco da dire insomma, tutto da ascoltare. Sara Casaluce |
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