L'Electrovenice è il festival che, sfruttando le strutture dell'Heineken Jammin' Festival, che si svolge nello stesso luogo (Parco San Giuliano di Mestre) la settimana prima, si è presentato dall'anno scorso come il migliore e più importante festival italiano di musica elettronica. Punto di forza dell'anno scorso è stata la divisione in due palchi: sul palco principale (Red Stage) si suonava principalmente elettronica di stampo french, electropunk ed electroclash con dj come i Digitalism, Mr. Oizo, Steve Aoki e i 2ManyDJ's, mentre il palco secondario (White Stage) era l'olimpo della techno e della minimal, con Ellen Allien, Marco Carola, Luciano e il “dio” del genere Richie Hawtin. In più era anche presente il piccolo RedBull Stage, poco frequentato, ma che si proponeva di lanciare i migliori dj underground italiani. Ma la cosa che più mi colpì dell'Electrovenice dell'anno scorso è stata l'importanza data alla componente live nel palco rosso: gli energici Kap Bambino, l'idolatrata Uffie, i magnifici e sublimi Moderat e i devastanti Bloody Beetroots hanno contribuito a rendere il festival dell'anno scorso una delle giornate centrali dell'estate musicale italiana.
Perché tutta questa premessa sull'edizione dell'anno scorso? Perché l'Electrovenice 2011 non è assolutamente all'altezza del suo predecessore: sotto un solo palco sono infatti riuniti i seguaci di entrambe i due vecchi palchi (spesso in disaccordo per le vedute musicali) e nemmeno in grande numero vista la delusione collettiva per la line-up (Goose, Sven Vath, Afrojack, Deadmau5 e Fatboy Slim, preceduti da diversi nomi di DJ italiani), non tanto per la qualità dei nomi, quanto per una risposta così modesta alle aspettative formatesi in seguito al successone dell'edizione precedente.
Al mio arrivo sull'enorme palco stanno ancora facendo il loro dj-set i milanesi Reset! (in tre sul palco per fare molto poco): unica cosa degna di nota è la presenza nel set dell'ultimo successone di Martin Solveig, la canzone della pubblicità della Vodafone, che si risentirà anche nelle esibizioni di Afrojack e, deludentemente, di Fatboy Slim. Fantasia.
È poi il turno dei Goose, il gruppo elettronico belga che in europa ha tanto successo, ma che davanti a un pubblico così prevalentemente “ignorante” scaturisce nel migliore dei casi reazioni tiepidine; il commento più positivo che mi capita di sentire su di loro è “mi piacciono anche se non fanno proprio house”. Certo che non fanno house, mio caro giovane tamarro, anzi, se al posto dei synth usassero le chitarre, il loro sarebbe rock in piena regola. La loro esibizione si discosta da quella al Pop Corn di gennaio, già recensita in precedenza, per essere decisamente più convincente e fortunatamente meno tamarra (malgrado il livello del pubblico). Strepitoso come sempre il loro approccio prettamente analogico alla musica elettronica: assolutamente tra i migliori act del festival.
Seguono Sven Vath, con il suo dj-set house-minimal che sinceramente non capisco e quindi non commento, e Afrojack che opta per un set facile con pezzoni commerciali conosciutissimi e si guadagna le immeritate e ripetute esultanze del pubblico, sempre più ignorante ai miei modestissimi occhi. Fin qui, Goose a parte, sembra quindi un festival da buttare, ma scende la notte e arriva il turno di Deadmau5, l'ospite più atteso e acclamato, malgrado l'headliner sia Fatboy Slim.
Il dj e produttore canadese porta per la prima volta in Italia il suo live set in uno spettacolo sonoro ma soprattutto visivo che ha dell'incredibile. Gli effetti visivi che scorrono sulla consolle di Deadmau5, sulla sua nuova maschera da topo e sul maxischermo alle sue spalle creano un'atmosfera magnetica che mixata con la musica (uno splendido miscuglio di electro, minimal e progressive house, con significative influenze dubstep e idm) dà un effetto assuefante. Il set si districa tra pezzi che spaccano letteralmente i timpani (definire killer i bassi è dire davvero poco), momenti ipnotici e altri assolutamente e inaspettatamente eterei, senza dimenticare i due pezzi in cui fa la comparsa davanti alla consolle una cantante/balleria di cui ignoro l'identità per animare il momento più piacevolmente “pop” dell'esibizione.
Estenuante anche dal punto fisico, la fine del live set di Deadmau5 vede buona parte del pubblico (composto ormai in gran parte di gente considerevolmente fatta) andare altrove a riposare, rinfrescarsi e cibarsi, mentre sul palco si prepara la scialbissima scenografia per il dj-set di quello che doveva essere l'ospite d'eccezione, Fatboy Slim, che regala un'esibizione anonima e indegna della leggenda della musica dance da lui rappresentata.
Festival assolutamente deludente se non fosse per Deadmau5 che da solo, non esagero, vale il prezzo del biglietto.
Recensione a cura di Giacomo Falcon.
Progetto Felix.